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#rarelives: storie rare 

In questa pagina raccogliamo le esperienze di Vite Rare, storie di persone con malattia rara, caregiver, e familiari che sono di incoraggiamento per il percorso di crescita di ognuno e che possono aiutarci a reagire nei momenti di difficoltà.

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Vanessa
Vite Rare

Sono Vanessa Ciriaco, 21enne studentessa di Comunicazione e vi spiego cosa significa avere il morbo di Werlhof, detto più comunemente PTI. Convivo con questa patologia da quando avevo 11 anni, è una rara forma di malattia autoimmune, causata da uno scontro tra fegato e milza che distruggono le mie piastrine. Esteriormente si manifesta per la comparsa di emorragie spontanee, lividi e puntini sulla pelle, detti petecchie, a causa del basso numero di piastrine e una stanchezza continua e costante, detta fatigue. Sono seguita all’ospedale San Gerardo di Monza e l’ematologo che mi ha accompagnata in questi 10 anni è il mio angelo, perché mi ha permesso di vivere serenamente grazie alle sue rassicurazioni. La cosa importante? Non abbattersi davanti ai sintomi della malattia, perché anche se abbiamo un corpo che non sempre ci segue, la nostra mente viaggia comunque a 100 all’ora e possiamo vivere ogni nostro sogno. La malattia è solo un altro lato della vita e io ho imparato a vederla come una mia compagna di viaggio; c’è sempre una luce!

Marina
Vite Rare

Sono Marina, ho 26 anni e la mia storia si chiama Sindrome di Minor, o anche Deiscenza del canale semicircolare superiore all’orecchio sinistro, o forse, probabilmente, ha un altro nome.
5 anni fa ero all’ultimo anno dell’università triennale e parlando con un’amica, all’improvviso iniziai a sentire un forte fastidio all’orecchio, una pressione forte, come se tutto ad un tratto non riuscissi più a sopportare nient’altro se non il silenzio.
Da lì in poi, i suoni stridenti, alcune frequenze sonore, le voci delle persone e la mia stessa voce diventano il mio peggior incubo.
Ho fatto mille visite, otorini, neurologi, specializzati in osteopatia, e per 3 anni la mia vita si è rimpicciolita fino a chiudermi nella mia stanza, al silenzio, con i miei pensieri.
Nel 2022 si accende la speranza, un otorino chirurgo di Roma potrebbe avere la soluzione e mi opera.
L’intervento prevedeva la “ricostruzione della parete deiscente […] con un’esposizione della meninge della fossa media […] e una ricostruzione con la stessa polvere d’osso della persona, unita a colla biologica“.
Purtroppo nulla è cambiato, se non aggiungersi, ai miei attuali sintomi, le conseguenze post-intervento. Tutto è rimasto invariato: iperacusia dolorante, pressione all’orecchio, pressione alla testa, emicrania, poco equilibrio, confusione mentale.
Questa sindrome mi ha tolto molto e stravolto la mia vita e la mia socialità. Ho smesso di fare sport perché anche uno sforzo fisico mi creava disagio all’orecchio. Ho dovuto reinventarmi un altro metodo di studio perché non riuscendo a parlare, ripetevo gli argomenti d’esame nella testa e mi era difficile memorizzare. Ho notato anche un calo della memoria e difficoltà a mettere insieme un discorso. Ho smesso di piangere perché lo sforzo fisico comportava un forte dolore e pressione all’orecchio. 
Ho smesso di ridere per lo stesso motivo.
Nessun medico ha mai compreso le conseguenze di questa sindrome e di come facilmente può portare alla depressione. Qualcuno, purtroppo, si è tolto anche la vita.
Ho dovuto imparare di nuovo a parlare per la confusione mentale che avevo, ancora oggi faccio fatica ad approcciarmi agli altri perché mentre parlo sento dolore.
Ci si sente incompresi e soli.
L’unica fortuna è stata avere una famiglia al mio fianco, senza di loro sarebbe stato molto più difficile affrontare tutto.
Sono riuscita a prendere 2 lauree e trovare un lavoro stabile. Mi ritengo fortunata, anche se non è per niente facile convivere con tutto questo. Sono tornata a sorridere, e con un po’ di dolore anche a ridere, ho ripreso sport e cerco di trovare ogni giorno, in ogni cosa, la bellezza di poter vivere una vita, nonostante tutto, meravigliosa.
I sintomi sono molto particolari e difficili da riconoscere e inquadrare tutto in una malattia. Spero quindi che questa storia possa essere d’aiuto a qualcuno e forse, un giorno, potrà essere d’aiuto anche a me stessa.
Un abbraccio,
Marina

Ilaria
Vite Rare

Sono Ilaria, vengo dalla provincia di Treviso e sono curata dagli angeli della chirurgia e anestesia dell’Ospedale Sant’Antonio di Padova. Nel 2021 il mio mostro si è manifestato in modo subdolo, costringendomi a 7 operazioni chirurgiche maggiori (emicolectomia, colectomia totale, stomia ecc…) e una serie infinita di altre operazioni minori ed esami invasivi. Nessuno capiva perchè o cosa potesse farmi stare così, non avevamo una strada, non avevamo un protocollo o una cura. Il 15 dicembre 2022 gli abbiamo dato un nome: PSEUDOSTRUZIONE INTESTINALE CRONICA (CIPO), la malattia rara più grave della motilità gastrointestinale, caratterizzata da episodi ricorrenti simili a un’ostruzione meccanica, da dolori atroci e da difficoltà nell’alimentazione. 

Passa il tempo ma i dolori non diminuiscono, anzi… Aumentano… A giugno 2019, decido di andare a pagamento, da un neurochirurgo in provincia di Milano, il quale vedendo i referti delle analisi già fatte, mi prospetta una colonna vertebrale in pessime condizioni (mi dice questa è una colonna vertebrale di un 70/80enne.), avevo una stenosi del canale vertebrale gravissima, il canale era ridotto di oltre il 90%. Mi dice che bisogna intervenire quanto prima. Così mi inserisce nelle liste d’attesa per l’intervento. Mi opera ad agosto 2020. L’intervento durato 4 ore va benissimo. Torno a casa, convalescenza, passa qualche mese, la schiena è ok ma iniziano dolori ad entrambe le ginocchia. Faccio diverse visite, raggi, tac ecc.., un ortopedico mi dice che i problemi erano dovuti ad un precoce consumo di cartilagine e che la soluzione era fare un debridement (pulizia del ginocchio in artroscopia). A gennaio 2021 altro intervento al ginocchio. Trovano un materiale nerastro all’interno, me lo fanno anche vedere perché ero in anestesia locale e mi dicono che avrebbero fatto fare l’esame istologico. Faccio fisioterapia, mi riprendo un pochino, e vado a ritirare la cartella clinica. Dall’esame istologico risulta essere un “osteocondroma”, ossia tumore benigno. Passa un pò di tempo, inizio ad avere forti dolori alla spalla sinistra e al gluteo destro e successivamente anche all’inguine, oltre ad avere dolori persistenti alle ginocchia. Vado da un ortopedico privatamente che è un primario di ortopedia molto conosciuto, mi prescrive dei raggi e risonanze e mi dice di tornare coi referti. Praticamente risultano entrambe le spalle rovinate, con cuffie rotte e tendini strappati. Ginocchia in gonartrosi bilaterale e coxartrosi bilaterale. Mi fa fare parecchie iniezioni di acido ialuronico, tutto rigorosamente a pagamento, senza ottenere un minimo di beneficio. Al che sentitomi preso in giro, mi rivolgo da un altro ortopedico che visita a Bari ma opera al San Raffaele di Milano. Guarda i referti e rimane scioccato vedendo una situazione così disastrosa ad un uomo di 45 anni. Mi mette subito in lista d’attesa per intervento di protesi totale anca destra in quanto era ridotta malissimo. A giugno 2023 vado a Milano e mi opera. Durante l’intervento, nell’equipe del mio chirurgo, c’è un altro ortopedico che vedendo la colorazione dell’osso del femore, si sofferma e capisce che ho una malattia genetica rara! Anzi.. Ultra rara! ALCAPTONURIA, è questo il nome della malattia degenerativa, che mi fa compagnia sin dalla nascita. Naturalmente dopo l’intervento mi fu consigliato di rivolgermi all’ospedale “La Scotte” Di Siena xke unico centro in Italia dove studiano questa malattia. Mi hanno prescritto una terapia conservativa che ho iniziato da 5 mesi e ad oggi posso dire che la mia salute sta peggiorando giorno per giorno.
Premetto che la mia malattia, è stata la prima malattia genetica scoperta, solamente che la conoscono e riconoscono pochissimi medici nonostante sia facile da riconoscere.

Dalila
Vite Rare

 Il mio nome è Dalila e vivo a Torino, dove lavoro come docente di italiano per stranieri. Quattro anni fa la mia vita è parzialmente cambiata: la mia alopecia areata -malattia autoimmune che interessa il 3% della popolazione mondiale e che determina la perdita totale o parziale dei capelli e dei peli del corpo- si è improvvisamente aggravata, portandomi a perdere quasi tutti i capelli e buona parte dei peli del corpo, a pochissimi mesi dal matrimonio e in piena pandemia.
Lo shock è stato molto forte, nonostante convivessi già da qualche anno con la malattia, e ho dovuto ricominciare tutto da 0. L’alopecia areata è una malattia “fortunata”, se rapportata ad altre patologie autoimmuni rare, ma il suo impatto psicologico, oltre che estetico, è devastante: di punto in bianco ci si ritrova senza un parte di sé (peraltro comunemente associata alla femminilità), davanti a uno specchio che ci restituisce un’immagine che non ci corrisponde più e che ci turba, almeno inizialmente, e non si sa esattamente come comportarsi con altri, dei quali si temono le reazioni, i pregiudizi, gli sguardi. È una sorta di tsunami che investe chi la vive in prima persona e chi gli è accanto, che assiste impotente senza poter fare molto per lenire quel dolore. Attualmente non c’è una cura universalmente efficace, sebbene recentemente siano stati messi in commercio farmaci promettenti, che non possono curare ma possono determinare una ricrescita totale o comunque importante dei capelli e dei peli se assunti a vita, di cui non si conoscono ancora gli effetti avversi. La malattia non è, attualmente, riconosciuta dall’SSN, per cui le visite e le costose terapie sono a spese del malato; alcune Regioni virtuose, erogano un contributo annuale per l’acquisto di protesi o copricapi. Con l’alopecia si può condurre una vita quasi normale, con delle limitazioni e delle accortezze, ma non è sempre facile accettare di dover vivere “a testa scalza”. Per aiutare me stessa e chi vive la mia medesima condizione ho scritto un libro, grazie al quale ho fatto esperienze preziose e ho dato un senso alla mia malattia.
Noi non siamo la nostra patologia e non diventiamo alieni a noi stessi, quando ci ammaliamo: questo è il messaggio più importante che ciascuno di noi, con la sua rara compagna di vita, possa dare.

Alessia
Vite Rare

Mi chiamo Alessia Zurlo, sono di Torino e vorrei raccontarvi la mia storia con una malattia genetica rara, delle tante difficoltà per ricevere una diagnosi e terapie adeguate, del concetto di rappresentazione sociale della disabilità e della diversità, della inclusione contro lo stigma della malattia e di ciò che non è conforme ai canoni convenzionali di bellezza. Quando ero bambina, la mia gamba destra ha cominciato a gonfiare senza una causa apparente. Ci sono voluti 5 lunghi anni e decine di visite per avere una diagnosi: linfedema primario, una malattia cronica, invalidante e ingravescente del sistema linfatico, che non ha possibilità di guarigione (è diversa dal più noto linfedema secondario, perché il primario ha cause diverse, prevalentemente genetiche ed è considerata una malattia rara). Ci sono voluti 11 anni per ricevere terapie adeguate e, in tutti questi anni, la sofferenza provata è stata immensa, così come la fatica delle terapie ambulatoriali, i ricoveri ospedalieri, i duri e pesanti tutori elastici che sono costretta a indossare tutti i giorni, dal piede alla schiena.. Forte è stato il senso di inadeguatezza e disagio nel confronto con i coetanei e per gli anni a seguire, fino ad una lenta maturazione nella consapevolezza del mio valore nonostante questa condizione e nell’accettazione di un dolore che, se condiviso, poteva trovare un senso ed essere di aiuto ad altri nella mia stessa condizione. La mia storia è, quindi, un messaggio di speranza e accettazione della propria diversità, un incoraggiamento a non nasconderla, ma a valorizzarla come ricchezza e unicità. Affinché possa essere di ispirazione, vorrei condividere con voi e il vostro pubblico la testimonianza di quanto il potere della condivisione, il raccontarsi e l’ascolto degli altri, possano essere terapeutici e dare conforto nella particolare solitudine in cui ti getta una malattia rara. In questi anni, con i social tutto questo è possibile e dopo un percorso di profonda sofferenza, alla fine, oggi, ho trovato un equilibrio, fino a diventare una “modella imperfetta” nel mondo della moda inclusiva e del movimento della body positivity, perché non essere come gli altri può essere una risorsa e non limite. Inoltre, il mio impegno come membro del direttivo dell’associazione Lymphido, mi consente di mettere tutta la mia esperienza di paziente esperta al servizio dei bambini affetti da linfedema e delle loro famiglie, essere un riferimento anche per i pazienti adulti e promuovere l’importanza di una rete di sostegno. Questo è lo scopo di Lymphido e io lo divulgo, anche attraverso il mio emagazine, Lymphormazione e le mie LymphoPills, sulla mia pagina e sul sito di Lymphido. Sarebbe stato davvero importante, per la me piccola e la mia famiglia, poter contare sulla preziosa rete di pazienti e professionisti, che, invece, 30 anni fa non esisteva. È così che sono diventata Alessia, una @ragazza_in_gamba

Alessia
Vite Rare

Mi presento sono Alessia Mastrosimone, una ragazza di 21 anni che soffre di una malattia molto rara, sono l’unica in Italia ad averla. Ci sono circa 35 casi al mondo con la SINDROME DI BEHR. Sin dalle elementari fino ad arrivare alle superiori ho subito bullismo a causa di questa mia malattia che comporta una compromissione visiva cioè un’atrofia al nervo ottico bilaterale ed una parte di compromissione fisica dove si hanno difficoltà nella coordinazione, nell’equilibrio, e sulla forza. Questa malattia mi è stata diagnosticata a tre anni e mezzo l’atrofia nervo ottico mentre la compromissione fisica è arrivata all’età dei 10 anni e mezzo la mia vita da quel momento si è completamente stravolta nonostante abbia avuto un riscontro psicologico molto forte a causa del bullismo subito. I miei compagni mi prendevano in giro per come tenevo vicino il telefono. Per come camminavo, perché avevo il materiale da studiare ridotto rispetto a loro.

Le insegnanti in tutto questo non facevano molto avevo chiesto all’inizio di essere cambiata di classe ma la preside l’unica cosa che ha saputo fare alle superiori e entrare in classe e fare un discorso sul bullismo ai miei compagni minacciandoli di una sospensione, ma dopo due giorni le cose tornarono come erano all’inizio. Io tutti i giorni ero costretta a venire a scuola e subire tutto ciò talché non avevo più voglia di andare a scuola .
Nelle lezioni di educazione fisica la professoressa non era in grado di darmi degli esercizi da fare perché non conosceva neanche minimamente la mia patologia, non se ne è mai interessata veramente, ma mi voleva far giocare a pallavolo come tutti gli altri dopo un po’ io ho iniziato a saltare le lezioni quindi ad entrare alle 10 perché ce l’avevamo le prime due ore e dopo un po’ la prof ha capito la situazione però non è cambiato molto Perché comunque in pagella io avevo sei; quel sei mi è sempre pesato perché al giorno d’oggi io mi alleno costantemente quattro volte alla settimana in palestra perché ho avuto la fortuna di trovare un bravo personal trainer che mi ha seguita dall’inizio e mi ha permesso di ricredere in me stessa e capire che in realtà Con una disabilità si può fare tutto, basta volerlo, deve partire dalla testa .
A scoprire la mia compromissione visiva è stata la mia maestra delle scuole materne perché diceva che io facevo fatica a giocare e non capiva se era una cosa cognitiva oppure visiva successivamente ne ha parlato con i miei genitori e abbiamo fatto i controlli in primis al Maria Vittoria di Torino dove mi seguiva la dottoressa D’Alonso.
Dopodiché questa dottoressa ci ha consigliato di andare al Carlo Besta di Milano dove vengo seguita tuttora e al primo ricovero sono riusciti a capire che cosa avessi perché i medici non capivano perché io inciampavo, perdevo l’equilibrio, perché appunto la compromissione fisica è arrivata dopo, io prima riuscivo a correre ad andare in bicicletta Camminavo benissimo .
Dopo che mi hanno diagnosticato la sindrome di Bear, mi è crollato il mondo addosso, ho iniziato a non voler più uscire di casa perché appena uscivo di casa mi veniva la tachicardia e mi si abbassava la pressione. Ho iniziato a non credere più nelle persone, a non fidarmi più di nessuno, non avevo amici fino all’età di 15 anni e mezzo dove ho conosciuto il mio primo ragazzo con cui sono stata quattro anni che mi ha aiutata nella mia situazione e diciamo che siamo un po’ cresciuti insieme e insieme a lui ho conosciuto anche le mie due migliori amiche, che sono tuttora al mio fianco per sostenermi sempre e credere in me e dicono che sono una forza della natura perché affronto la vita come nessuno lo farebbe .
Molte volte penso che le persone danno per scontate le cose che hanno e gli danno poco valore mentre per noi con delle problematiche visive e fisiche anche solo riuscire a camminare a fare una passeggiata e già un grosso traguardo. Dopo il Carlo Besta sono stata anche al San Raffaele nel reparto di neuro Ōtomo logia l’anno scorso per una Neuro tomo Lodges Dove mi hanno detto che la terapia genica sta andando avanti e che ho la fortuna di essere giovane quindi di avere vent’anni perché all’epoca ne avevo 20 l’anno scorso e quindi mi si sono presi i miei contatti per mettermi in lista tutto ciò a Milano perché ovviamente in Piemonte a Torino non c’è niente di tutto ciò non sanno nemmeno cosa significa un’atassia cioè un disturbo della coordinazione e del controllo motoria .
Ma la mia vita non è solo cambiata in peggio in quegli anni sicuramente ne ho passate di tutti colori sono stata molto seguita da una psicologa per tre anni perché appunto la situazione era grave non sono mai arrivata a prendere psicofarmaci ce l’ho fatta da sola con le mie forze. Adesso mi ritrovo a 21 anni con una forza incredibile di volontà con una determinazione assurda e una voglia di lottare e di vivere sta vita come meglio posso e non sprecare neanche un minuto di questa vita a pensare al perché mi sia capitata a me perché io penso che ci sia un motivo per ogni cosa e se la vita ci mette davanti queste difficoltà vuol dire che sa che noi le sappiamo affrontare e secondo me la disabilita rende più speciali si hanno più valori mentre al mondo d’oggi nella nostra generazione di adolescenti si è un po’ persa questa cosa si dà troppa retta ai social alle figure nei social all’istero tipi . Io alle medie ho sofferto anche di disturbi alimentari perché tutto questo stress mi faceva sentire grassa non appropriata pensavo tanto sono già disabile quindi devo essere almeno magra e tutte queste cose qui ed erano in pieno dell’età dello sviluppo e tuttora questo disturbo ce l’ho ancora però è molto controllato infatti vengo seguita da un nutrizionista apposta.
Ancora oggi sto facendo un percorso psicologico perché penso che la psicoterapia sia un po’ come la fisioterapia non bisogna mai smetterla percorso che si inizia e poi si deve continuare.
Adesso mi hanno detto che in Piemonte è impossibile fare la fisioterapia per il mio tipo di malattia perché ci andrebbero la cosa mirata tutti i neurologi me l’hanno detto quindi al momento sono bloccata con la fisioterapia ho solo più la palestra che mi può aiutare ma dal punto di vista Della muscolatura e sto cercando di lavorare anche un po’ sull’equilibrio .
L’anno scorso ho fatto una visita neurologica a settembre al San Raffaele di Milano e l’ho fatta con la dottoressa Anna Bellini del reparto di neurologia e o diagnosticato un peggioramento di questa mia malattia camminavo veramente male e lì abbiamo scoperto che c’era un centro neurologico per la riabilitazione intensiva accanto al San Raffaele fa parte della stessa struttura che si chiama: DIMER in questo centro di riabilitazione mi hanno ricoverata dopo esattamente quattro settimane sono stata lì un mese e mezzo mi ha colto una neurologa bravissima a cui devo tanto tanto perché mi ha aiutata tanto nel mio percorso dell’anno scorso e anche degli anni che verranno a seguire perché continuerò ad andare una volta all’anno farò un ricovero di questo mese e mezzo verrò chiamato quest’anno a fine anno e la dottoressa si chiama: DOTTORESSA LAURA FERRÈ.
Io al momento vivo una vita sostenibile mi fa stare male il fatto però che ancora in Italia non siano sensibilizzate alla disabilità molte persone che ci sono ancora molte barriere architettoniche partendo dai semafori sonori alle voci dentro gli autobus che a volte disattivano perché a quanto pare ha delle persone dà fastidio io ad esempio vivo a Torino nella città di Collegno e ce ne sono veramente pochi .
Ho scritto questo articolo Che si chiama “ la malattia di Alessia con la sindrome di Bear” sull’osservatorio delle malattie rare che è stato pubblicato poi successivamente sulla stampa e anche sul giornale Bologna Today. Spero con questo articolo di arrivare a molte persone anche magari a me dici di tutto il mondo ma soprattutto per far capire alle persone che sono diciamo nella mia categoria di disabilità che non sono sole che ci sono tante persone che soffrono e tante persone soprattutto che stanno peggio di noi.
Spero sia arrivato il mio messaggio di sostegno ma soprattutto di un racconto di una storia molto complessa e di una malattia molto complessa perché non è coinvolto soltanto un gene ma ne sono coinvolti di più con un errore né DNA.
Il gene della vista l’ho preso da mia madre mentre l’altra parte fisica non si sa da chi l’abbia presa dai terzi genetici non risulta nessuno della mia famiglia.
Sarò molto contenta se questo articolo verrà pubblicato perché ci tengo tanto alla sensibilizzazione del mondo e soprattutto alla conoscenza di molte malattie che magari nemmeno si sa che esistono appunto perché sono rare o molto rare nel caso della mia.

Arianna
Vite Rare

SONO ARIANNA CITRON, UNA RAGAZZA DI 34 ANNI CHE VIVE IN PROVINCIA DI TREVISO.
SIN DALLA NASCITA SONO AFFETTA DALLA SINDROME DA IPOVENTILAZIONE CENTRALE CONGENITA, MEGLIO CONOSCIUTA COME “SINDROME DI ONDINE”, UNA PATOLOGIA MOLTO RARA CHE COLPISCE I CENTRI DEL RESPIRO. A CAUSA DELLA MUTAZIONE DI UN GENE, SI VERIFICA UNA GRAVE INSUFFICIENZA RESPIRATORIA PREVALENTEMENTE NEL SONNO, PERCIO’ OGNI QUALVOLTA VADO A DORMIRE DEVO UTILIZZARE UN APPARECCHIO DI VENTILAZIONE MECCANICA CHE RESPIRA PER ME.
QUANDO SONO NATA QUESTA MALATTIA ERA UNA VERA E PROPRIA MALEDIZIONE, CI SONO VOLUTI CIRCA 10 MESI PER ARRIVARE AD UNA DIAGNOSI E PER TORNARE A CASA CON LA MIA FAMIGLIA HO DOVUTO ANDARE IN GERMANIA PER IMPIANTARE L’APPARECCHIO DI VENTILAZIONE. I PRIMI MEDICI CHE MI AVEVANO PRESA IN CARICO ERANO GIUNTI A ADDIRITTURA A DICHIARARE CHE AVESSI UNA MALATTIA SCONOSCIUTA ALLA MEDICINA. POI LA DIAGNOSI E UN PO’ DI LUCE IN FONDO AL TUNNEL. ALMENO LA MALATTIA AVEVA UN NOME.
ORA, PER FORTUNA, NON SIAMO SOLI.
DA VENT’ANNI INFATTI ESISTE UN’ASSOCIAZIONE, L’A.I.S.I.C.C. CHE LAVORA A FIANCO ALLE FAMIGLIE COLPITE DA QUESTA RARA REALTA’ E FINANZIA IMPORTANTI PROGETTI DI RICERCA SCIENTIFICA.
LA MIA VITA SEMBRA QUASI UN MIRACOLO: TUTTO CIO’ CHE SEMBRAVA IMPOSSIBILE TRENT’ANNI FA AGLI OCCHI DEI MEDICI E DEI MIEI GENITORI, SI E’ IN REALTA’ AVVERATO: MI SONO SPOSATA, LAVORO, PRENDO AEREI PER VEDERE IL MONDO.
LA SINDROME E’ SEMPRE LI’ ED IN ATTESA DI UNA CURA, HO IMPARATO A “VIAGGIARE” INSIEME A LEI E AI MIEI MACCHINARI, CONSAPEVOLE DEI LIMITI, MA ANCHE DEI PUNTI DI FORZA.
PER QUANTO SIA A VOLTE DIFFICILE, SO DI NON ESSERE DA SOLA.
GRAZIE DI CUORE!

Lucia
Vite Rare

Ciao, sono Lucia, ho 42 anni e da circa 27 ho scoperto di avere una malattia rara chiamata complesso Murcs. Fin da piccolissima non ho avuto vita facile, operata di ernie bilaterali, lussazione all’anca con conseguente asimmetria degli arti inferiori, monorene, agenzia uterina, un solo ovaio, no coliciste, no menarca, operata di difetto interatriale e, da due anni, portatrice di defibrillatore sottocutaneo. Che dire, non mi faccio mancare nulla, anche se effettivamente manco di alcuni organi ahahah! Ogni tanto la prendo a ridere ma posso assicurarvi che non è una vita facile. Purtroppo queste patologie vengono studiate caso per caso e quante volte durante le visite mi sento dire ancora “mai sentito parlare di questo complesso”. Spero che la scienza possa andare sempre avanti e dare una speranza in più a chi non ne ha. Forza, non ci arrendiamo!!! Bisogna lottare sempre e comunque 

Calogera
Vite Rare

Nel giorno del mio 67° compleanno vi parlo della mia malattia rara, il lichen scleroatrofico. E’ una patologia autoimmune, scoperta grazie ad un ginecologo che, conoscendo la malattia, è riuscito a fare una diagnosi corretta perché il lichen sclerosus pur colpendo le mucose, soprattutto della vulva, non è una patologia ginecologica ma dermatologica, provoca prurito incoercibile e comparsa di lesioni e abrasioni della parte colpita, che rendono difficilissimo condurre una vita normale anche se, apparentemente, si gode di buona salute . Il problema è che è poco conosciuta e spesso curata in modo improprio. Io ho avuto i sintomi più invalidanti da poco, probabilmente la malattia è stata silente per tantissimi anni o i sintomi che nel tempo lamentavo, sono stati confusi con vaginiti o candidosi. Purtroppo, però, è una patologia che colpisce indifferentemente uomini e donne di qualunque età, anche bambini. Se non diagnosticata e trattata correttamente rende la vita impossibile, pregiudicando anche la normale anatomia e fisiologia della zona colpita. Attualmente sto seguendo una terapia chirurgica che, anche se non mi farà guarire perché si tratta di patologia incurabile, mi permette di condurre una vita normale.

Federica
Vite Rare

Mi chiamo Federica, ho 31 anni. Dopo 13 anni di ricerche, visite mediche e due interventi, lo scorso anno ho conosciuto la mia compagna, CISTITE INTERSTIZIALE. Si tratta di una malattia rara che interessa il muscolo e la mucosa della vescica. L’infiammazione altera la componente neurologica vescicale causando una neuropatia pelvica caratterizzata da dolore pelvico cronico, dolori rettali e vulvodinia. Nel mio caso il dolore si estende spesso agli arti superiori e inferiori . Le terapie sono tante e impegnative come il cateterismo. Ma allora perché chiamo questa patologia la mia compagna? Perché mi ha insegnato che il nostro corpo è in grado di fare cose straordinarie; sto imparando ad ascoltarlo, a capire le sue esigenze ed a prendermene cura. Con la mia compagna adesso vivo ad un ritmo diverso, un ritmo fatto di compromessi tra me e lei; compromessi che mi permettono di divertirmi con le persone che amo, di viaggiare, di prendermi cura dei mie pazienti, di coccolare i miei animali e le mie piante…di vivere a modo mio. In fondo l’essenziale in questa vita è proprio VIVERE, buona avventura a tutti!

Mariangela
Vite Rare

 Ciao sono Mariangela Lionetti , 42 anni e 3 figli. Dal 10 Gennaio 2024 sono i miei figli a prendersi cura di me soprattutto Arianna ( OSS di 26 anni) . Quando mi hanno diagnosticato la PTT non sono riuscita neanche a pronunciarla che questa subdola malattia mi aveva già tolto l’uso della parola . Poi si è presa un braccio e come se non bastasse anche una gamba ( ingorda!) I medici mi hanno salvato e soprattutto la Dott.ssa Ematologa dell’Ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti è stata un genio nel diagnosticarmela prontamente. Sono terrorizzata ma sto lottando come una leonessa perchè c’è una famiglia che mi aspetta . Mi avevano detto che la situazione era grigia tendente al nero ma io inizio a vedere l’arcobaleno. Ringrazio tutti i medici e tutti coloro che hanno avuto una parola. un gesto, un conforto per me. Ad maiora semper !

Francesca
Vite Rare

Mi chiamo Francesca, ho 24 anni e da 8 anni almeno convivo con la Sindrome del Vomito Ciclico (SVC) malattia che purtroppo in Italia non è riconosciuta e solo pochissimi medici conoscono o ne hanno sentito parlare.
Questa sindrome si manifesta con delle crisi a cadenza precisa, nel mio caso ogni 30 giorni, intervallate da periodi più o meno lunghi di benessere e senza sintomi invalidanti. Spiegare alle persone la SVC non è facile perché durante i periodi di benessere sono una persona “normale”: faccio sport, lavoro, sono curiosa ed energica nonostante mi stanchi facilmente e abbia una minore tolleranza ai ritmi di lavoro.
Quando la crisi di vomito fa capolino mi provoca estrema letargia, nausea, vomito incoercibile e mal di testa. Ho bisogno di stare al buio e in silenzio perché luce e rumori mi danno un fastidio fortissimo e non sono in grado di mangiare e bere nulla fino a che la crisi non si risolve. Dormire, anche 13/14 ore di seguito, per me è l’unico modo per placare i sintomi e far passare la crisi più velocemente, solitamente in uno o due giorni.
Durante questo periodo di malessere sembro quasi uno zombie con la faccia pallida, le occhiaie, le palpebre pesanti dalla stanchezza, le gambe che si trascinano e un stato così “estremo” da essere definito “coma cosciente”.
Convivere con la SVC significa avere paura a festeggiare un compleanno, a fare lunghi viaggi, a uscire con gli amici tornando tardi la sera, a fare nuove esperienze… perché forti emozioni (sia positive che negative), stress e deprivazione di sonno scatenano il vomito. Avere la SVC è avere il timore di vivere una vita piena e contare i giorni con l’angoscia della crisi che si avvicina senza poter fare nulla e sperare che magari per una volta la sindrome si “dimentichi’ di te.
Io sono arrivata a dare un nome a tutti i miei sintomi solo due anni fa, per caso e dopo anni di diagnosi sbagliate, farmaci inutili e sofferenze. Ci sono state anche tante incomprensioni: la gente (insegnanti, colleghi di lavoro, familiari…) vedeva una persona come me, inizialmente allegra e positiva, che si spegneva ogni giorno sempre di più mano a mano che la data della crisi si avvicinava e non capivano i miei sbadigli, la svogliatezza, lo sguardo “triste”, gli occhi spenti e la fatica a ricordare le cose.
Purtroppo questa malattia è poco studiata, la sua causa precisa rimane sconosciuta, l’iter diagnostico va per esclusione e in Italia non abbiamo un centro di riferimento.
In alcune persone, soprattutto i bambini, la SVC regredisce col tempo, in altre invece rimane cronica per tutta la vita.
Io mi considero fortunata perché la terapia che sto seguendo prescritta da un gastroenterologo, mi ha permesso di riprendere in mano la mia vita e scoprire la bellezza di vivere e fare nuove esperienze.
Ho imparato a gustare il presente senza pensare troppo al futuro apprezzando ciò che vita mi offre ogni giorno. Le difficoltà ancora ogni tanto ci sono ma ho imparato a gestire i miei impegni e la mia routine per non stressarmi troppo.
Non so ancora se guarirò o se la SVC sarà la mia compagna più o meno silenziosa durante tutto il cammino, solo il tempo può dirlo, ma questa sindrome mi ha reso una persona più forte. Non perdete mai la speranza e cercate la bellezza nelle piccole cose perché, come ha detto Martin Luther King, “solo quando è buio si possono vedere le stelle”!

Simona
Vite Rare

Mi chiamo Simona, ho 34 anni e dalla nascita convivo con la malattia delle esostosi multiple che condivido con mia mamma e uno degli zii materni. Dall’età di 16 anni circa subisco quasi annualmente degli interventi chirurgici per “sistemare” le conseguenze date dalla malattia. Per me non è facile convivere con la malattia, la mia scomoda e prepotente compagnia di vita, ma cerco di affrontare tutto con il sorriso sulle labbra perché sono convinta che questo sia il modo migliore per combattere la mia battaglia quotidiana.

Alessandro
Vite Rare

Mi chiamo Alessandro Coppola, ho vent’anni e mi reputo un giovane “SPECIALE”.
Uso quest’aggettivo, perché sono affetto dall’età di quattro anni, da una sordità totale all’orecchio sinistro e, profonda all’orecchio destro, dove indosso una protesi acustica, che considero la mia compagna di vita; sono curato al Bambin Gesù di Roma.
Nel Novembre del 2019 è cambiata totalmente la mia vita, in seguito ad un brutto episodio, a tante cadute e quindi visite varie. ho avuto un’altra diagnosi: sono affetto da una Malattia Genetica Rara DEGENERATIVA VISIVA: la Sindrome di Usher 2, collegata alla sordità; e in più ho una “Retinite Pigmentosa con aggravio di Edema maculare”, che mi porterà alla cecità. Al momento ci sono solo protocolli sperimentali. Io prendo un farmaco il Diamox che mi dovrebbe ridurre l’edema, ma nei vari controlli da un lato è peggiorata e dall’altro un pochino si e’ assorbita, con tutte le controindicazioni: perdita di memoria, perdita di capelli e problemini ai reni. Sono curato nel reparto Telethon del Policlinico L. Vanvitelli.
Ad oggi il mio visus è solo centrale, non più laterale e sono ipovedente soprattutto in assenza di luce.
Nonostante quest’ostacolo che è quasi impossibile da oltrepassare, dopo che ho preso consapevolezza di quello che mi ha tolto e continua a togliermi la mia malattia, allo stesso tempo però quello che mi ha fatto scoprire di avere e che non pensavo minimamente che mi appartenesse, è una voglia instancabile di vivere, una forza maggiore nel voler realizzare sogni e raggiungere obiettivi. Mi sento un’auto che corre a 300/km all’ora
Tutto ciò mi ha portato a scrivere nero su bianco questo meraviglioso viaggio che ho vissuto, con tantissimi momenti up and down; infatti a Dicembre è stato pubblicato il mio libro dal titolo: “Le mie orecchie parlano” Ed. Graus; con il contributo speciale di uno dei migliori artisti rap della scena musicale italiana: Geolier.
Ho creato, inoltre, a supporto del libro un progetto dal titolo “SuperAbile”,; siccome ho scelto di dedicare il mio tempo, facendo incontri con i giovani, per raccontare la mia testimonianza e sono sicuro che con il mio linguaggio, che è lo stesso che utilizzano loro, molti si rispecchieranno, cominciando a credere molto di più in se stessi. Nei miei incontri, porto ciò che sono: leggerezza, ironia, ma anche intensità, alcuni esperimenti sociali, e tratto temi per me fondamentali che risaltano anche nel libro quali: l’inclusione, l’empatia, la resilienza, la bellezza della diversità, realtà più sconosciute come le malattie rare che bisogna far conoscere ai giovani ed infine l’importanza della ricerca, che per tutti noi affetti, rappresenta un raggio di speranza e di luce in fondo ad un tunnel completamente buio.

Anna
Vite Rare

Ciao a tutti! Il mio nome è Anna, ho venticinque anni, sono una dietista e da circa 13 anni Evans è diventata la mia miglior amica, rendendomi una rarissima guerriera invisibile.
La convivenza con la Sindrome di Evans trilineage, così hanno definito questa rara patologia autoimmune, caratterizzata da anemia emolitica, piastrinopenia e neutropenia autoimmune, oserei definirla turbolenta. 
Il nostro rapporto negli anni è migliorato, seppur Lei sia stata e sia tuttora una grandissima rogna!
Sin dal principio non è stato semplice identificarla ma sono stati necessari quasi quattro anni dall’insorgenza dei primi sintomi (principalmente piastrinopenia, leucopenia e neutropenia) e diversi consulti in vari ospedali di Italia per riuscire a diagnosticarla. La disonesta si nascondeva e, come tutte le ribelli, non rispondeva bene neanche ai vari trattamenti.
La gestione è stata complessa e mi ha portato via gli anni più belli della mia adolescenza, lasciandomi tante di quelle cicatrici che ancora oggi ne porto i segni. Alcune di esse sono evidenti: le strie rubrae stampigliate sulle natiche o l’osteoporosi da uso eccessivo di cortisonici mi ricordano che Lei è sempre presente; altre sono meno visibili ma permangono continuamente nella mia mente e influenzano costantemente la mia esistenza.
 
Vivere con Evans è come stare continuamente su una montagna russa: alterna le discese che sono le fasi in cui Lei c’è ma si manifesta poco, alle salite che sono quei momenti indimenticabili in cui Lei decide prepotentemente di farsi notare e qui ti distrugge fisicamente ed emotivamente.
Negli anni ho cercato di capirla e di stipulare una sorta di compromesso con Lei ma purtroppo è talmente ribelle, come me d’altronde, da non rispettarlo. Compare sempre nei momenti meno opportuni: generalmente quando penso di essere riuscita finalmente a controllare il mio corpo, arriva Lei e cancella ogni convinzione.
Sarei ipocrita se dicessi di non averla mai odiata: c’è stato un periodo in cui davvero non riuscivo a tollerare i continui ricoveri, l’isolamento dal mondo circostante, i malesseri fisici che mi causava (emorragie varie, stanchezza, dispenea..) e che non mi permettevano di vivere come avrebbe dovuto fare un’ adolescente, le limitazioni che avevo e che mi facevano sentire diversa da tutti. 
Mi chiedevo perché dovesse capitare proprio a me. Ma poi al tempo stesso mi domandavo: <<Perché non a me? Alla fine, cosa ho di diverso dagli altri?>>
E, quindi, con il tempo ho imparato ad accettare quasi tutto di Lei: le petecchie che ormai sono diventate un tratto caratteristico e che mi fanno somigliare alla Pimpa, gli ematomi, l’astenia, le aftosi ricorrenti, i disturbi gastrointestinali.
Ancora capita che io mi senta limitata da questa patologia, ancora capita che io desideri non averla mai conosciuta e ancora capita che io la odi ma, come accade in tutti i rapporti di lunga durata, ho riscoperto anche i lati positivi di essere malata. 
Senza Evans probabilmente non mi sarei mai conosciuta realmente: non avrei scoperto di essere una pavida coraggiosa (l’espressione ossimorica è volutamente usata) e una resiliente, non avrei dato il giusto valore al tempo, non avrei apprezzato quelle <<piccole cose>> che oggi mi rendono felice, non avrei conosciuto il potere della gratitudine e non mi sarei appassionata alla vita in ogni sua sfaccettatura ma mi sarei semplicemente limitata a sopravvivere.
Da Evans non si può guarire (almeno al momento) e anche gestirla non è semplice, sia fisicamente perché nel mio caso non è mai andata in remissione nonostante i trattamenti ma continuo a convivere con la piastrinopenia e la neutropenia, sia psicologicamente perché la paura che possa evolvere in qualcosa di peggiore è sempre presente.
Tuttavia, la convivenza è senza dubbio più semplice del passato, seppur ci siano dei momenti ancora difficili da tollerare. 
Essere rari non è facile. Essere rari tra i rari e anche invisibili è ancora più difficile. Soffrire di una condizione che non si manifesta esteriormente, se non nelle situazioni più critiche, pone una serie di problemi complessi da superare, primo tra tutti la miscredenza della gente. 
Convivere con la paura che da un giorno all’altro la malattia potrebbe stravolgere la tua vita ma anche quella di chi ti sta accanto è la difficoltà maggiore.
Accettare di essere <<diversi>> o <<speciali>> ma al tempo non configurarsi con la malattia, perché noi non siamo la nostra patologia, non è sempre semplice. 
Ma la rarità è ciò che ci contraddistingue e ci rende unici!
Siamo rari ma mai soli: sono fiduciosa che ponendo l’attenzione sulle necessità che ha chi vive con una patologia rara, si possa in un futuro sempre più prossimo migliorarne la convivenza e la gestione.
Per questo ho deciso di condividere anche la mia storia, nonostante non sia stato semplice farlo, perché ricordare certi momenti è ancora a tratti doloroso. Ma sono consapevole che è necessario accendere i riflettori su queste condizioni, proprio come promuove UNIAMO, affinché non passino inosservate e si possa supportare una gestione con team multidisciplinari, perché non solo i sintomi fisici possano essere risolti ma anche e soprattutto le conseguenze psicologiche che patologie croniche e invalidanti come queste possono avere su noi pazienti e sui caregivers. 
Voglio concludere con un augurio per tutti Voi Rari: quando la vita ci sfida mettendoci costantemente alla prova, essere forti è l’unico modo che abbiamo di sopravvivere. Avere paura è normale ma senza paura non esisterebbe il coraggio. Noi siamo coraggiosi e coraggiosamente abbiamo deciso di non perire. 
Quindi, come Star Wars docet: <<Che la forza sia con voi!>>
Siamo dei rari Jedi, diamanti preziosi, non dimentichiamolo mai!
VIVIAMO AL MASSIMO! 

Valentina
Vite Rare

Ho scoperto avere iperinsulinismo congenito a 7 anni ma ho scoperto di avere questa patologia dalla nascita conduco una vita normale ma devo stare molto attenta perché non è una vita comune a tutti. Faccio visite su visite mediche e analisi continuamente e rinnovo piani terapeutici. Mi piacerebbe raccontare la mia storia. Malattia rara= ragazza rara.

Teresa
Vite Rare

Mi chiamo Teresa,ho 27 anni e sono abruzzese,ma seguita dall’età di 6 anni al policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna.
Sono stata molto fortunata, perché la mia malattia rara non è facilmente diagnosticabile, molto spesso viene scoperta dopo anni. Io invece la diagnosi l’ho ricevuta a soli 3 mesi, grazie a dei medici insospettiti dal mio linfedema a mani e piedi,che risultavano gonfi. Vi spiego cosa significa convivere con la SINDROME DI TURNER: in una sola parola incertezza,ma soprattutto un miracolo.
Questo perché nel 98% dei casi questa malattia è causa di aborto o di morte alla nascita. La sindrome di Turner colpisce il sesso femminile e si caratterizza per un’alterazione numerica o strutturale del cromosoma sessuale X che può essere totalmente mancante o solo in parte. Si manifesta in modo diverso da soggetto a soggetto, le caratteristiche che risultano sempre sono bassa statura e ovaie atrofiche (che risulta nella maggior parte dei casi in infertilità) per questo si devono attuare una terapia con ormone della crescita e,spesso, una estroprogestinica. Molto spesso si presentano anche problemi a fegato e reni,perdita dell’udito, difetti cardiaci, ipotiroidismo,osteoporosi,diabete di tipo due per questo è molto importante la prevenzione con controlli periodici. Molto spesso la sindrome si Turner causa insicurezze,ma con alcune accortezze si può vivere una vita assolutamente soddisfacente e “normale”.
Mi preme dire che questa malattia non comporta un ritardo mentale ma sicuramente alcune difficoltà visuo-spaziali (per cui qualche difficoltà alla guida) e con la matematica, mentre le abilità verbali e di linguaggio sono spesso molto spiccate.

Sofia
Vite Rare

Ho sofferto da sempre i mal di testa, ma non ho mai dato peso fino al giorno che ho deciso di fare una tac. Da quel giorno mi sono etichettata PERSONA RARA!. Ho delle calcificazioni celebrali e sono affetta dalla sindrome di Fahr. Una malattia neurologica senza cura con sintomi , ma anche senza sintomi dipende quanto sei fortunato!!! Io fino adesso non ho nessun sintomo e ringrazio ogni giorno le divinità. Anzi ringrazio la malattia perchè mi ha insegnato una cosa fondamentale VIVERE e dire alle persone a me più care TI VOGLIO BENE perchè potrei un giorno non riconoscerle più.

Giacomo
Vite Rare

Ciao a tutti, sono Giacomo della provincia di Bari.
Io nasco con una malattia ultra rara, ma nessuno si accorge di ciò.
Nasco nel 1978, mia madre sin dai miei primi giorni di vita, si accorge che c’è qualcosa che non va. Nota all’interno del pannolino macchie rossastre (le mie urine). Spaventata, chiede informazioni a sua madre, ossia mia nonna, che di figli ne aveva avuti 11. Subito le dice che non è normale e di portarmi subito in ospedale. Così mi porta all’ospedale pediatrico di Bari, ci ricoverano, fanno le analisi del sangue e delle urine, e gli esiti sono negativi. Tutto ok x i medici. Torniamo a casa, passano i giorni e mia madre, continua ad essere preoccupata per queste urine rossastre. Ne parla con il suo medico di famiglia che mi fa fare altre analisi. È inutile dire che gli esiti sono negativi. Crescendo, non ho mai avuto alcun tipo di problema di salute, l’unica cosa brutta da vedersi, era che le mie urine, dopo un pò di tempo al contatto con l’aria, diventavano rossastre/marroni e quindi dovevo stare molto attento quando andavo in bagno in casa di parenti e amici, a pulire per bene tutto dopo aver urinato, per non fare brutte figure. Fino all’età di 35 anni, va tutto bene, vado in palestra, gioco a calcio e a pallavolo a livello amatoriale, vado in moto senza problemi, svolgo un lavoro abbastanza faticoso (dipendente di un’azienda di vendita, montaggio e assistenza di arredamento per uffici, fotocopiatrici, PC). La sera tornando a casa, iniziavo a sentire dolori alla schiena.. Si pensava a qualche ernia dovuta ai numerosi sforzi che facevo al lavoro, così riesco a trovare un lavoro meno faticoso e allo stesso tempo mi rivolgo ad ortopedici e neurochirughi della mia zona per capire cosa avessi alla schiena che iniziava oltre che a farmi male, anche a darmi problemi agli arti inferiori. Passo da un medico ad un altro, sia privatamente che con la asl, mi fanno fare rx, tac, risonanza magnetica, mi dicono che ci sono diverse ernie nella zona lombare, mi prescrivono farmaci, punture, fisioterapia, terapia del dolore con oppioidi. 

Ho vissuto 3 mesi e mezzo consecutivi della mia vita in un ospedale, in totale ho vissuto nel reparto di chirurgia 9 mesi in due anni e mezzo. I medici sono diventati la mia famiglia mentre quella vera cerca di sostenermi e di andare avanti, facendo la spola tra casa e ospedale per vedermi e lavorare. Ho avuto diverse sepsi e nello shock settico dello scorso 24 gennaio ho imparato a vivere. Rischiando di morire ho preso forza. Ora combatto per me e per tutti quelli che mi vogliono bene. La malattia nel frattempo è diventata una compagna di viaggio maleducata che ho imparato, o almeno sto imparando, a sopportare. Sono un architetto, non mi sono mai arresa ed ho vinto anche un concorso, tra i giorni di ricovero e i dolori insopportabili. Ho sempre cercato di condurre la mia vita nonostante la malattia, la stomia, il picc, l’alimentazione e le continue visite e terapie per stare bene. Ho imparato a sopportare, a non arrendermi, a vivere la vita giorno per giorno apprezzando ogni momento, ogni luogo, ogni persona che incontro. Ho imparato che le cose non sono facili e che noi Vite Rare abbiamo lo stesso diritto degli altri: avere la possibilità di vivere. Siamo rari ma insieme siamo tanti, insieme ci sentiamo meno soli. Negli ultimi anni ho imparato che la parola malattia designa ben poco; un anestesista una volta mi ha detto “sei Ilaria, sei una persona prima di essere una paziente”. Ci saranno momenti belli e momenti brutti, giornate ricolme di dolori e altre che passano delicate come la brezza sulla pelle. Ci saranno rinunce e compromessi, ospedali e ricoveri, esami e soprattutto dolori ma ci saranno anche gioie, sorprese, amore e soprattutto tanta tanta forza e voglia di vivere questa meravigliosa e speriamo lunga vita.

Selina
Vite Rare

Sono Selina, ho 26 anni e sono una studentessa di chimica e tecnologia farmaceutiche e a 13 anni ho scoperto, dopo una crisi epilettica, di essere affetta dalla malformazione di Arnold Chiari di tipo I associata a siringomielia. Sono stata operata di decompressione cranica all’ospedale Gaslini di Genova. Vorrei ringraziare tutti i neurochirurghi che si sono presi cura di me perché probabilmente, senza di loro, non sarei qui, ho avuto l’opportunità di vivere la mia vita come l’ho sempre desiderata e non potrei essere più grata.

Matteo
Vite Rare

Ciao sono Matteo, ho 16 anni e mezzo e da quando sono nato ho una malattia rara che è la Sindrome di Marinesco-Sjogren. Ho conosciuto il nome man mano che sono cresciuto e ho sentito le testimonianze della mia mamma. Ho chiesto cosa fosse questa malattia e adesso so tutto di lei, so che lei è la causa della mia disabilità. Vivo sulla carrozzina, ma ho sempre la speranza di camminare. Ho bisogno di aiuto in tutto e questo mi preoccupa in futuro. Vado a scuola e il pomeriggio in un centro diurno, amo la vita e adoro la musica che è il mio hobby preferito. Tantissime persone mi vogliono bene e desiderano la mia compagnia, perché sono sempre sorridente nonostante tutto. Quindi vorrei dire che importante è essere gioiosi dentro il proprio cuore e amare la propria vita senza perdere la speranza!

Natale e Chiara
Vite Rare

Se adesso tra le mani avessimo un pezzo di carta e una penna per scrivere la storia di una azienda, incominceremmo col dire che è nata dall’intuizione di…. ma oggi con questo scritto vogliamo riportare alla luce il vissuto di due fratelli per cercare di dare un senso a quanto il destino infaustamente gli abbia riservato.
Natale è il più grande di tre fratelli, nasce il 4 febbraio del 1997 in piena salute ed in perfette condizioni fisiche nella clinica “villa aurora” di Reggio Calabria, dopo qualche giorno di degenza, da neonato insieme ai suoi genitori Antonio e Concetta fanno ritorno a San Procopio, un piccolo paesino dell’entro terra circondato da imponenti e maestosi uliveti, cresce con tranquillità e spensieratezza come tutti i bambini sani, natale fa tutti i controlli periodici e forse qualcuno in più, cresce giocando è un bambino molto vivace e intanto i genitori orgogliosi del loro primo genito facevano viaggiare la fantasia, chiedendosi chissà se un giorno il loro Natale diventerà qualcuno d’importane.

 Il tempo passa e Natale si sta avvicinando al quarto anno di età, i genitori (ancora ignari del destino del proprio figlio) notano che Natale inizia a non deambulare bene, immaginavano di tutto ma non immaginavo mai che il loro figlio raggiante e pieno di vita da lì a pochi anni sarà confinato in un letto, perché’ è proprio quello che è capitato a Natale. Alla fine del 2000 incominciano i così detti viaggi della speranza, a Reggio Calabria arrivano le prime diagnosi, per i genitori i medici parlano una lingua incomprensibile, malattie mai sentite prima, si fanno prove con ausili ma niente le condizioni di natale peggiorano repentinamente, quindi decidono di sentire altri pareri nei centri specializzati del nord Italia, Milano, Genova, Firenze, Roma ecc. ecc. le cartelle cliniche fanno il giro del mondo, ma niente, i ricercatori e gli studiosi alzavano le mani e ci dicevano tutti la stessa cosa…”in letteratura non c’è niente che si avvicini alla malattia di vostro figlio, curate i sintomi e lasciate perdere la causa”. Stanchi e delusi, i genitori insieme al piccolo Natale facevano rientro alla volta di San Procopio, non erano più gli occhi a lacrimare ma il cuore, sapevano che le speranze per una cura si erano ridotte a lumicino. Il 20 gennaio del 2003 Natale si trovava sul divano, da qualche giorno stava poco bene, Antonio e Concetta erano molto preoccupati per i sintomi che Natale mostrava in quei giorni, il piccolo ad un certo punto interruppe le loro preoccupazioni dicendogli: “state tranquilli che la madonna mi sta aiutando”. Così presero in considerazione quello che avevano detto i medici, e concentratevi sui suoi bisogni. Riabilitazione, logopedia psicomotricità, si iniziò a creare un habitat per le sue dimensioni, eliminando ogni tipo di barriera, e sfruttando al massimo le sue potenzialità. Gli anni passano e nel 2001 nasce Rocco (che si è sempre posto la domanda del perché’ non è successo anche a lui ciò che è successo ai suoi fratelli, è stato uno dei primi a voler creare la onlus). Nel 2010 nasce Mariachiara. Natale è sempre più sofferente, perde completamente l’uso delle gambe, il linguaggio diventa comprensibile solo ad una cerchia ristretta di famigliari, la vista incomincia a vacillare “atrofia ottica”. È il 2013 passano 13 anni dall’ultima visita al “Carlo Besta di Milano”, nel frattempo la famiglia si è trasferita nella città di Reggio Calabria in virtu’ dei consigli terapeutici ricevuti dai medici. Arrivò una telefonata a : “siamo del Carlo Besta appena vi è possibile recatevi in ospedale perché’ ci sono novità sulla diagnosi di vostro figlio”, riparte lo stesso batticuore di qualche anno fa, il tempo di fare i biglietti, preparare una valigia e via, durante il tragitto si pensa positivo, si riaccende la speranza, le parole che risuonano nella mente sono “hanno trovato la causa quindi ci sarà sicuramente anche la cura”, ma così non fu, i medici dissero “abbiamo isolato il gene che ha causato la malattia di Natale, si chiama “SPG35/FA2H” è una forma rarissima (60 casi al mondo), e ci dispiace ma purtroppo non ci sono cure”. Dopo la diagnosi la speranza di guarigione rimase lì, in quell’ospedale. Natale cresce, e insieme a lui anche tante insidie fatte di ricoveri, lunghi interventi chirurgici per migliorare le aspettative di vita. In un’occasione Natale aveva da poco compiuto 20 anni e a causa di una violenta polmonite la famiglia rischiò di perderlo, in che in quel frangente uno dei medici del reparto del GOM di Reggio Calabria non sapeva come dare la notizia ai genitori. Il padre gli rispose che “nessuno in questo mondo è esente da tale sentenza a prescindere dall’età, quello che sarà è già scritto”. Oggi Natale ha 25 anni vive per il 90% della sua giornata allettato, dipende totalmente da apparecchi salva vita e di conseguenza monitorato H24 da una o più persone e nonostante tutto mai un lamento, solo ed unicamente uno splendido sorriso. A livello clinico con la parte che riguarda Mariachiara si potrebbe fare un copia incolla, solo che in lei ci sono state alcune differenze, come per esempio la malattia ha esordito più tardi. Dopo 20 anni, oggi si iniziano a vedere dei gruppi di ricerca soprattutto in Canada, si cerca di fare rete tra pazienti (5 in Italia), si cerca di isolare i portatori sani, cosa molto importante per la prevenzione di nuovi casi. Oggi chiara ha 12 anni, l’esordio è avvenuto quando aveva 5 anni, a confronto di età sembra che la progressione sia meno violenta. Caratterialmente è un vulcano, una forza della natura, anche lei come Natale desidera poter camminare di nuovo, Ed è una domanda che pone spesso ai genitori proprio come suo fratello, ma la famiglia, conoscendo la storia deve mentire col sorriso difronte alla loro figlia sapendo che il suo desiderio sta andando in frantumi, e come già detto su Natale: mai un lamento ma semplicemente un dolce e delicato sorriso. Questo è quello che ha indotto la famiglia e tutto il Consiglio direttivo a far nascere “Ilsorrisodi NataleeChiaraonlus”. Il tutto dettato dalla sofferenza vissuta e dal sorriso dei ragazzi che non li ha mai abbandonati. Nel mondo della disabilità si sono versate tante lacrime, dolore e cuori in frantumi, solo vivendola ci si può immedesimare, quindi si e’ deciso di creare questa onlus, con lo scopo di lenire i dolori e ridare qualche sorriso, tirando giù e strappando quel velo di tristezza e di angoscia che hanno le persone nei loro cuori, lo stesso velo che negli anni ha offuscato i sorrisi della famiglia , e molte volte è stato responsabile di quella solitudine che ha colpito anche loro.

Valentina
Vite Rare

Ciao sono Valentina e convivo come le malattie rare da quando ho 11 anni ,ora ne ho 42.All’inizio sei spaesato e spaventato ,specie quando non capiscono quello che hai .Quando la prima malattia è comparsa ed ero l’unica in zona ,mi vergognavo ,poi ho imparato a convivere come se lei non ci fosse .A questa che si chiama A. u,si è aggiunta la tiroidite Hashimoto ,malattia subdola e tremenda che si nasconde .In seguito si è aggiunta anche asma e sospetta Churg and Strauss.Insomma ,non mi faccio mancare nulla .Ma detto questo non ho smesso di vivere e fare quello che desidero .Mi divido tra visite ,ospedali e la mia frenetica vita.

Alessandro
Vite Rare

 Ciao a tutti. Mi chiamo Alessandro ho 53 anni e vengo da Mantova. 6 mesi orsono sono stato operato per un ingrossamento di un linfonodo al collo. Da lì, la scoperta della malattia rara, la Malattia di Castleman e successivamente, dopo ulteriori approfondimenti la seconda scoperta, sarcoma a cellule follicolari dendritiche nel contesto della Malattia di Castleman. La malattia di Castleman (MC) è definita da un’ipertrofia dei linfonodi in presenza di un’iperplasia linfatica angiofollicolare. Ne esistono due forme: una forma localizzata, limitata a un solo linfonodo, e una forma multicentrica, che colpisce più linfonodi. La mia è di tipo Unicentrica. Convivere con una malattia rara mi esorta a fare sempre qualcosa di nuovo a livello sportivo, essendo un runner, concentrandomi su me stesso ed il mio impegno quotidiano ad accettare nuove sfide senza mai mollare! Voglio far conoscere la mia malattia e sono consapevole di quante malattie rare vi sono in Italia e nel mondo. Ma sono fiducioso che la ricerca possa compiere un salto enorme e curare tutte le persone come me affette da malattie rare. Dimenticavo il mio motto: mai mollare o nevergiveup.

Annarita
Vite Rare

Mi chiamo Annarita ho 28 anni e sono residente a Pagani, un paese in provincia di Salerno. Il destino ha voluto che proprio il giorno del mio diciassettesimo compleanno, piuttosto che pensare ai festeggiamenti, ho scoperto di essere affetta da una malattia che colpisce i nervi. Da quella fatidica data ci sono voluti ben 3 anni, tra visite ed esami di vario genere, per conoscere l’identità della patologia che mi avrebbe accompagnata per tutta la vita: Charcot-Marie-Tooth 2 Z, un tipo ex novo ancora in fase di sperimentazione. Trattasi di malattia degenerativa, se pur lenta, che colpisce i nervi periferici del controllo del movimento degli arti inferiori e superiori oltre ai nervi sensoriali (percezione caldo/freddo, dolore ecc). È caratterizzata da debolezza e atrofia dei muscoli, che appaiono come “smagriti”, e da ridotta sensibilità. Fin da piccola non ho mai avuto un camminata brillante e molti medici asserivano che le mie frequenti cadute erano dovute a distrazione e scarso impegno. 

La mia vita, una volta diagnosticata la CMT, è stata caratterizzata da 3 fasi:1) rifiuto/paura;2) rassegnazione;3) accettazione e voglia di rivincita. La prima fase è stata la più complicata perché tanta era la delusione e l’amarezza. Ho ancora vivo il ricordo della paura di affrontare qualsiasi tipo attività, anche una semplice passeggiata , perché dovevo evitare sforzi eccessivi che avrebbero potuto compromettere ulteriormente la funzionalità dei nervi. La seconda fase è stata la più deprimente, poiché pensavo di non poter più fare quello che ho sempre amato: BALLARE. Grazie a questa disciplina, insieme al sostegno della mia famiglia, ho accumulato una forte energia che mi ha aiutato a spazzare via in primis la paura, nonché l’incertezza del futuro, e poi la rassegnazione. Inizialmente mi sono iscritta ad una scuola di balli Caraibici (bachata, salsa e merengue), ma ovviamente, nella bachata in particolare, la mia camminata ancheggiante (dovuta alla cmt) veniva esaltata dai passi base.
Tra mille difficoltà ho comunque affrontato diversi saggi, ma con l’ultimo ho rischiato una frattura permanente e in quel momento ho deciso di fermarmi. Ovviamente questo è stato un duro colpo, perché ho dovuto decidere di archiviare in un cassetto dei ricordi ciò che mi rendeva felice. Nel 2018 ho iniziato fisioterapia e due anni dopo mi sono laureata, in Scienze dell’Educazione, ed infine ho preso la patente speciale. Con il passare degli anni nonostante non volessi ammetterlo, ho raggiunto la decisione che mi serviva un aiuto nel camminare, cosicché sono arrivata a mettere i tutori : le molle di codivilla. Un giorno mentre sfogliavo le storie Instagram, è uscita come pubblicità la GabryDance, diretta dal maestro Gabriele Cretoso, una scuola che dava opportunità anche ai disabili di ballare. Il 13 novembre 2021, posso definirlo ufficialmente il giorno della mia RIVINCITA, ho iniziato a frequentare la GabryDance e in 1 anno ho fatto dei miglioramenti a vista d’occhio, grazie alla pazienza e alla professionalità del maestro. In vista dei Campionati Italiani Paralimpicici F.I.D.S. (Federazione Italiana Danza Sportiva), il maestro mi disse di prendere dei tutori meno invasivi, da usare solamente quando ballavo, in modo da stimolare e allenare anche gli altri muscoli. Con il passare dei mesi attraverso il ballo e agli esercizi mirati ho scoperto l’esistenza di muscoli che credevo di non possedere, i tutori vecchi li ho messi da parte e soprattutto faccio passeggiate senza stancarmi.
Il 2022 è stato un anno da incorniciare poiché ho partecipato ai campionati italiani Paralimpici organizzati dalla F.ID.S. (Federazione Italiana Danza Sportiva) classificandomi al primo posto sia nelle danze Standard e nelle danze Caraibiche.
In occasione di una coreografia sulle note della canzone Sorridi Amore Vai, ho avuto l’onore di ricevere una lettera dalla Famiglia Bocelli, i complimenti dal Maestro Piovani e dalla stessa Nicoletta Braschi. Il 2023 precisamente 8-9 Luglio ho partecipato ai Campionati italiani di danza paralimpica a Rimini organizzati dalla FIDS mi sono classificata prima nelle Danze caraibiche e standard con il mio partner di ballo Salvatore Izzo, primo posto nel duo show dance insieme alla mia amica Irene Rita Erriquez e un quarto posto nel solo show dance. Nonostante le difficoltà legata alla mia malattia, non mi sono mai fermata e ho portato la mia testimonianza a diversi eventi, per sensibilizzare i giovani e nello stesso tempo far capire a chi convive con una disabilità di non mollare mai e non aver timore di chiedere aiuto. Inoltre, dopo l’estate, ho iniziato una nuova esperienza lavorativa, collaboro con l’associazione :”Autismo: fuori dal silenzio”. Questa associazione mi permette di stare a contatto con ragazzi dallo spettro autistico e di proporre dei progetti, da promuovere nelle scuole, finalizzati all’integrazione di bambini e ragazzi speciali. Sono molto contenta e soddisfatta, perché questo lavoro è innanzitutto in linea con la mia laurea ma poi mi consente di supportare chi è in difficoltà, e non per scelta ma perché imposto dalla vita. La mia sensibilità verso chi è più debole, nasce da lontano perché da piccola, anzi da piccolissima, più volte sono stata vittima di bullismo, ma ciò che ha reso tutto più pesante è che le maestre non mi aiutavano a superare le difficoltà ma le sottolineavano, dandomi quindi in pasto a chi mi faceva del male quotidianamente. Purtroppo, allora non essendo a conoscenza della mia malattia, acclarata quando avevo 17 anni, in alcuni momenti pensavo di essere sbagliata. Quando ho avuto la diagnosi, (Charcot-Marie-Tooth), è stata dura accettare la verità ma poi, con il passar degli anni, il mio punto debole è diventato quello di forza. L’obiettivo è quello di aiutare, per quanto posso, tutti quelli che vivono le difficoltà della disabilità e soprattutto supportarli nelle scelte che gli consentano di superare le barriere che purtroppo la vita gli riserva. Con questo nuovo lavoro penso di essere sulla strada giusta. Quando aiuto qualcuno mi sento bene, realizzata e anche un po’ meno disabile

Gaia e Riccardo
Vite Rare

Mi chiamo Carola e sono mamma di Gaia e Riccardo. I miei due bimbi sono affetti da una malattia rara chiamata Nf1 (neurofibromatosi tipo 1).
Gaia, la primogenita, al momento sta combattendo con la sua battaglia perché all’età di 3 anni abbiamo scoperto un tumore alla testa chiamato idrocefalo con cui convive da già 3 anni, purtroppo provare a vivere una vita normale è difficile, ma la nostra non normalità ci porterà lontano e alla felicità ne sono sicura. Confido molto nella ricerca e le proveró tutte perchè sono sicura che un giorno ci saranno più cure per tale malattia. Da mamma spero in un futuro il più migliore possibile per i miei figli. 

 

 

Martina
Vite Rare

Mi chiamo Martina e ho 22 anni. Faccio parte di tutti quei guerrieri “invisibili”, con una patologia rara, genetica e subdola. Dopo 10 anni di pura sofferenza, ho scoperto di avere la Sindrome di Ehlers Danlos. Una collagenopatia congenita multi-sistemica. Per 10 anni – sin dai teneri 11 anni- mi sono sentita dire che ogni problema derivasse dall’ansia della scuola, dato da un disturbo dell’adattamento perché i medici non si spiegavano come fosse stato possibile stare così tanto male senza avere anticorpi alti, analisi patologiche. O che fossero i miei genitori a farmi star male, dandomi retta, essendo troppo apprensivi. Dopo 10 anni, a Casa Sollievo della Sofferenza (FG), ho conosciuto una dottoressa speciale che, finalmente, ha posto fine a tutti i dubbi che sono insorti nella mia vita. Non sono ansiosa, ma sono realmente malata. E sentirmelo dire per la prima volta, in questo modo è stata davvero tosta. Questa malattia è subdola, si nasconde dietro altre patologie, si camuffa e si finge tutto ciò che effettivamente non è; e porta tutti colore che ci si imbattono, fuori strada. Questa sindrome genetica ha scatenato altre patologie altrettanto gravi, come l’insufficienza intestinale cronica benigna (IICB), l’insufficienza d’organo più rara al mondo. E grazie alla nuova medicina, noi pazienti, possiamo continuare a vivere, contando sulla nutrizione parenterale domiciliare. Alzandosi la mattina chiedendosi se effettivamente si potrà mai tornare a mangiare, ricordando quanti gusti possibili per tenerli a mente quando ci si trova in difficoltà.

 

 

Si è creata anche la sindrome da attivazione mastocitaria; che mi scatena reazioni allergiche alle cose più disparate, perfino alle sacche di nutrizione che mi tengono in vita; la sindrome da tachicardia posturale ortostatica che cerca sempre di tenermi ferma, cercando di farmi svenire; la fibromialgia, un continuo dolore cronico insopportabile; un’iperinsulinemia con ipoglicemia molto grave, che mi ha portato più di una volta quasi al coma.

Questa malattia ha provato a bloccare la vita della piccola ragazzina felice e atletica che ero al tempo. E mi manca, mi manca quella spensieratezza, la felicità, le giornate passate in palestra, sui pattini, con gli amici, all’aperto. Questa vita mi ha levato tanto, ma mi ha dato anche molto, in positivo. Sì, spesso mi fermo e penso a quanto sia subdolo dover conoscere ad un’età così tenera la reale sofferenza, a quanto sia dovuta maturare così in fretta, ma allo stesso tempo so che questa situazione mi ha portato ad essere la donna che sono ora.

Empatica, fedele, piena di amore e forte.

Pensavo che avrei dovuto imparare a sopravvivere per tutta la vita, ma sto imparando a VIVERE. Perché rari non significa essere sbagliati, siamo solo delle piccole stelle perse, nell’universo, che hanno bisogno di tempo per risplendere come si deve. Ma una volta che ci accendiamo, risplendiamo di una luce scintillante e spettacolare.

Uniti, rari, mai soli.

Paola
Vite Rare

Ho 52 anni, fin dalla nascita avevo squilibri ormonali che nessuno aveva mai inquadrato, del resto erano gli anni ‘70 e le analisi non erano mirate come adesso. Soffrivo relativamente, ma vivevo quasi normalmente. Con l’avanzare dell’età, e con la comparsa di serie comorbidità, la mia qualità di vita è crollata. Allora sono tornata a fare il tour degli endocrinologi per capire cosa mi stava succedendo. Finalmente nel 2020 arrivò la diagnosi: Morbo di Addison, malattia rara che provoca un serio deficit di cortisolo. Ero indebolita anche dal Covid, che ho contratto subito in forma grave a febbraio 2020. Alla fine mi ritrovai invalida al 100 %, incapace perfino di alzarmi dal letto. Ho smesso di lavorare, ma sono grata ai medici che hanno trovato una cura per mantenermi in vita. Tuttavia non mi sono mai scoraggiata. Sto impiegando il mio tanto tempo libero per fare ricerche sul Morbo di Addison, malattia davvero poco conosciuta, anche in ambito sanitario, e ho creato delle pagine social per sostenere gli altri pazienti addisoniani, aiutandoli a capire la malattia e a non sentirsi soli. Ho trovato uno scopo alla mia invalidità.

Carlotta
Vite Rare

Mia figlia Carlotta, bambina con una gravissima disabilità a causa di una patologia genetica molto rara (variante gene Cert1).

Siamo una famiglia di 4 persone: io, mio marito Lorenzo, mio figlio Pietro di 10 anni e Carlotta di (quasi) 6 anni.
La gravidanza e la nascita di Carlotta (4.4.2017) sono state perfette, senza intoppi. Anche gli esami prenatali (incluso il DNA fetale) non hanno rilevato alcunché di rilevante.
Anche dopo la nascita, né io né mio marito (né la pediatra) abbiamo notato alcunché, se non che Carlotta dormiva pochissimo, piangeva tantissimo e aveva difficoltà nella suzione (sia al seno che al biberon).
Tuttavia, al compimento dei 6 mesi è stato chiaro come Carlotta non seguisse le tappe dello sviluppo, tanto che la pediatra curante ci ha indirizzato da un noto fisiatra del Policlinico di Milano, il quale ci ha inesorabilmente confermato che certamente Carlotta aveva un ritardo motorio, indirizzandoci ad iniziare quanto prima le terapie ed a rivolgerci a genetisti per la ricerca di una diagnosi.
Improvvisamente, siamo stati quindi catapultati nel mondo della disabilità.
Carlotta ha iniziato riabilitiazione all’età di 7 mesi al Don Gnocchi di Milano (tuttora fa fisioterapia e psicomotricità al Don Gnocchi, oltre ad un percorso di Comunicazione Aumentativa Alternativa presso il Centro Benedetta d’Intino di Milano).
La diagnosi ha invece richiesto molto tempo e molte visite ed altrettanti esami genetici specifici andati a vuoto.
Nel 2019 Carlotta è stata inserita in un programma di Telethon volto alla ricerca delle malattie rare tramite l’esame del sequenziamento genetico.
 
Grazie a questo esame, nel settembre 2020 abbiamo avuto la nostra diagnosi: variante del gene cert1. Trattasi di una patologia rarissima, la cui rilevanza è stata accertata nel 2015: i casi accertati al mondo sono solo 4.
 
Data l’estrema rarità della sindrome, la diagnosi non ci ha dato indicazioni circa la condizione di Carlotta e le prospettive per il futuro.
 
Ad oggi, Carlotta ha un grave ritardo psicomotorio, che la rende non autosufficiente: non cammina (fa qualche passettino tenuta per mano, portando i tutori), non parla, non mastica, non ha un uso funzionale delle mani.
 
Tuttavia Carlotta è molto migliorata, negli anni, quanto a presenza nell’ambiente e capacità comunicativa non verbale. 
 
Carlotta osserva ciò che la circonda e, con i suoi tempi e con le sue modalità, comunica le proprie emozioni e le proprie volontà (la CAA è un grande aiuto in questo senso).
 
E’ felice di rapportarsi con gli altri bambini e frequenta con gioia la scuola dell’infanzia.
 
Il suo preferito rimane comunque suo fratello Pietro, con il quale ha un rapporto di grande affetto, che cerchiamo di supportare anche tentando di fornire un sostegno a Pietro nel suo (non semplice) ruolo di sibling: Pietro frequenta da quest’anno la Fondazione Paideia (sede di Milano) che organizza laboratori per siblings, ai quali Pietro partecipa con entusiasmo.
 
Dopo i primi anni, necessari a metabolizzare una situazione che ci ha colto completamente alla sprovvista, noi membri della famiglia abbiamo reagito, ciascuno a proprio modo, ritrovando una serenità familiare.
 
Personalmente, ho tratto uno stimolo dalla mia personale vicenda e, a fronte anche del mio ambito professionale (sono avvocato) ho assunto il ruolo di Consigliere Direttivo dell’Associazione Famiglie Disabili Lombarde ATS, che offre sostegno in ambito legale alle famiglie al cui interno vi sia un membro con disabilità, oltre ad interfacciarsi direttamente con le Istituzioni in merito a tematiche attinenti al mondo della disabilità.
 
Rimane la grande preoccupazione per il futuro di Carlotta (anche in un’ottica di “dopo di noi”) e, anche in questa prospettiva, ci farebbe grande piacere che venisse data maggior diffusione ad una patologia genetica, che, per quanto rarissima, esiste e che, certamente, affligge più di 4 persone nel mondo!
 
La condivisione di esperienze con persone che vivono la nostra situazione sarebbe fondamentale e di grande stimolo.
 
Se poi si desse impulso alla ricerca su questa patologia sarebbe semplicemente fantastico.

Nicolò
Vite Rare

Sono Federica, la mamma di Nicoló, un piccolo di soli 10 mesi e tantissime battaglie già affrontate.
Il nostro viaggio inizia a maggio, mese della sua nascita che ci ha subito messi a dura prova. Mio figlio affetto da idrocefalo e dandy walker e una patologia ultra rara che colpisce 1 persona su un milione… deficit di plasminogeno.

Quando lo nomino rabbrividisco ancora e mi sento così piccola e impotente. Il mio bimbo è stato ricoverato per 8 lunghi mesi, ha affrontato 17 interventi chirurgici per idrocefalo che non riuscivano e non riuscivano a causa di questa patologia contro cui combattiamo.

Sapere che esiste una cura a cui non si riesce ad accedere è devastante. Il farmaco che gli servirebbe è approvato solo in America ma grazie ad Uniamo che si è battuta insieme a noi siamo riusciti ad avere accesso per un periodo limitato…. Ora che non è più disponibile siamo tornati a fare le infusioni di plasma a giorni alterni. La nostra vita è condotta per la maggior parte del tempo in un letto di ospedale… e quando non siamo in ospedale siamo a fare riabilitazione. Per quello che so io lui è l’unico in Italia ad avere una situazione così complessa nella sua malattia.

Spesso ho voglia solo di piangere, mi sento impotente, ho mille domande. Prego Dio che ci dia sempre la forza per affrontare tutto e che prima o poi questo farmaco possa essere approvato anche in Europa e quindi in Italia.

Walter
Vite Rare

Fino al 09/02/2021 la mia vita scorreva tranquilla, quella sera ho avuto un incidente con frattura scomposta della caviglia ed avulsione tendine di Achille.
Il 16/02/2021 sono stato operato ed il 18 sono stato dimesso.
Dopo circa 15 giorni ho avuto una caduta e dopo ancora 8 giorni ,dopo la rachicentesi mi è stata diagnosticata la sindrome di Guillaume barre.
Immonuglobuline per 5 giorni e dimissioni. Dopo tre anni senza capire la causa combatto con debolezza e disturbi vari. Senza lavoro e con difficoltà a trovare una sistemazione a 59 anni

Rosaria e Nicolò
Vite Rare

Nel 2019, un febbraio qualsiasi, il mio piccolo Nicolò, non riusciva più a camminare. Doveva compiere 2 anni a marzo. Ma lì è iniziata la sua nuova vita. Una dottoressa mi disse, si auguri di dare un nome a questa malattia perché molti bambini convivono con patologie senza nome e cure! Oggi convive con i suoi fagiolini ribelli.
Sindrome Dent1 con la mamma portatrice.
#nonSiamosoli

Daniela
Vite Rare

Sono Daniela ho 58 anni e da quando sono nata convivo con la mia malattia rara il Morbo di May Henglin , una malattia al sangue , le mie piastrine sono sei volte più grandi di quelle normali ma non hanno efficacia, non servono a nulla e sono poche circa 2/3 mila quando una persona sana ne ha 150 mila.. E una malattia che comporta molti problemi legati alla circolazione e alla coagulazione e emorragie abbastanza frequenti, nel periodo covid ho avuto un aggravamento e ho perso l’udito, sono diventata sorda ho fatto intervento di impianto cocleare, con rischi notevoli, ma e andato tutto bene e ora sento..Tutto questo grazie ai medici dell’ospedale San Matteo di Pavia dove sono in cura da sempre e alla mia forza di volontà il mio motto, nonostante tutto, e crederci sempre arrendersi mai.

Serena, Mattia, Alessia, Christian, Aurora e Tommaso
Vite Rare

Siamo un gruppo di genitori di bambini e ragazzi colpiti da una subdola malattia di estrema rarità: NEDAMSS, riconosciuta con la sigla IRF2BPL, che è stata scoperta a livello scientifico e mondiale solamente nel 2018.
La loro vita è stata completamente rivoluzionata: da condurre uno stile di vita normale, come giocare con le bambole e correre dietro ad un pallone da calcio, a muoversi solo per mezzo di una sedia a rotelle insieme a tutte le conseguenze che questa malattia porta con sé, giorno dopo giorno. Serena 47 anni, Mattia 34. Alessia 22, Christian 15, Aurora e Tommaso 10 detengono il triste primato di essere “i primi” in Italia colpiti da questa malattia, a fronte di circa 100 casi in tutto il mondo.
Questa mutazione genetica può essere scoperta solo con un approfondito esame genetico, definito Whole Exome, presso centri di ricerca altamente
specializzati.
Esistono, fino ad oggi, almeno 33 varianti della malattia che comportano un’infinità di sintomi e, di conseguenza, diverse tipologie di situazioni.
Le sintomatologie possono essere atassia, mioclono o tremori, movimenti anomali, perdita del controllo muscolare, epilessia, afasia, anatria, inibizione intellettiva, disfagia, regressione e perdita di funzioni neurologiche, disturbi visivi e altri ancora, portando ai pazienti una disabilità totale e gravemente invalidante.
Dopo 4 anni e mezzo dalla scoperta di questa malattia, per loro non esistono cure o terapie perché essendo cosi rara, non è stato attuato ancora nessun piano terapeutico a causa delle scarse informazioni e dati a disposizione della ricerca. Per questo motivo vorremmo sensibilizzare gli enti preposti, gli istituti di ricerca e le organizzazioni sanitarie ad intraprendere questa ricerca per i nostri figli, e per tutto il mondo.
Non possiamo e non vogliamo rimanere da soli ad affrontare questa situazione perché oltre ad essere impegnativa a livello economico ed emotivo, è dolorosa per coloro che sono affetti da questa malattia. I nostri ragazzi meritano una speranza e questa può essere concessa solo grazie alla Sanità Italiana che, dopo un lungo periodo di Covid, potrebbe concentrarsi anche su questa ricerca, senza costringerci a ricorrere ad istituti esteri privati. Niente e nessuno ci fermerà in questa battaglia perché ci sentiamo in dovere di essere coraggiosi di fronte ai nostri figli, incoraggiandoli sempre di più senza abbattersi mai.
Chiediamo caldamente a coloro che leggeranno questa breve lettera di prendere a cuore queste storie e vi ringraziamo per averci letto.

Paola e Frida Maria
Vite Rare

Ciao sono Paola, sono la mamma di Frida Maria una bambina siciliana affetta da una malattia genetica rara chiamata acromatopsia.
Durante il secondo mese di vita ci siamo accorti che gli occhi di Frida facevano dei movimenti strani e involontari!
Una mia amica ortottista mi ha detto che si trattava di nistagmo. Non avevo mai sentito questa parola però mi aveva anche detto di indagare sia a livello visivo che neurologico.
Al che ci siamo subito attivati e riusciamo a prenotare una prima visita a Milano con il prof. Paolo Nucci e un ricovero sempre a Milano al Fatebenefratelli reparto epilessie.
Durante la visita Nucci ha capito subito che era un disturbo visivo però io da mamma ho anche indagato a livello neurologico.
Dopo 5 giorni di ricovero dove abbiamo effettuato diversi esami tra cui RMN e EEG veniamo alla luce che Frida sta bene, è sana. Neurologicamente gli esiti erano negativi.
Prima delle dimissioni effettuammo i test genetici. Dopo sette mesi mi arriva la diagnosi: “variante del gene cnga3 associato ad acromatopsia a trasmissione autosomica recessiva” non ci capivo niente.

Abbiamo continuato a fare i controlli da Nucci e mi hanno spiegato bene di cosa si trattava.
Acromatopsia significa ipovisione, forte sensibilità alla luce, nistagmo e cecità ai colori.
Solo chi è madre di un bimbo raro può capirmi. Ho avuto troppa paura, ho versato troppo lacrime e non riuscivo ad accettare perché proprio a noi.
Frida oggi ha 2 meravigliosi anni. È una bimba molto intelligente e ha una memoria di ferro. Ormai lei è bravissima a gestire la sua patologia anche perché è il suo unico modo di vedere per cui non sa come vede un normo vedente e noi non sappiamo come vede lei anche se ho provato ad immaginarlo.
Porta spesso gli occhiali da sole e quando entriamo al supermarket o in un negozio tanto luminoso indosso i miei occhiali da sole insieme a lei.
Ho trovato la forza vedendo lei stare bene, giocare e sorridere, ho pensato che importa se i colori non li vede lei ha l’arcobaleno dentro o come dice la storia de “il piccolo principe”: “ l’essenziale è invisibile agli occhi, non si vede bene che col cuore”
Voglio rivolgere un pensiero a tutti i bimbi rari: siete bellissimi e non sarete mai soli.
Alle mamma e ai papà dico: forza ragazzi, andate a cercare la luce in fondo al tunnel. ho capito che siamo noi a doverla cercare, non fermandosi mai.
È vero siamo rari ma non soli!

Rachele
Vite Rare

Ciao a tutti! Mi chiamo Rachele, ho 23 anni, sono una studentessa universitaria e vivo in Italia. In occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Rare, vi racconto la mia storia.
Convivo con 7 malattie rare, di cui due genetiche. I primi sintomi si sono fatti vedere nell’infanzia e sarebbero dovuti essere dei campanelli di allarme. Purtroppo non sono stati riconosciuti fino un paio di anni fa, quando durante gli ultimi anni delle scuole superiori, la salute ha preso una brutta piega, continuando a peggiorare inesorabilmente. Mi vengono quindi diagnosticate diverse patologie croniche, tra cui (ma non solo) la Disautonomia e la prima malattia rara, la Sindrome di Arnold Chiari tipo 1, che tutte insieme hanno poi portato alla diagnosi della seconda malattia genetica rara: la Sindrome di Ehlers Danlos. Subito dopo, in seguito a complicazioni a livello gastrointestinale, mi vengono diagnosticate altre due malattie rare: la Gastroparesi e l’Insufficienza Intestinale Cronica Benigna (IICB). Quest’ultima è la più rara tra le insufficienze d’organo, talmente rara da non essere nemmeno riconosciuta come tale in Italia. 

Poco dopo, scopro di avere un’altra malattia rara chiamata nevralgia del trigemino e l’estate successiva soffro una perdita spontanea di liquor causata da una breccia spontanea, a sua volta causata dalla fragilità tissutale dovuta alla Ehlers Danlos, che porta poi alla diagnosi di Ipotensione Liquorale Spontanea, malattia rara neurologica anch’essa non riconosciuta dallo Stato.  Di recente invece, dopo anni in cui mi veniva detto che avere la febbre alta associata ad altri sintomi ogni mese era normale perché ero io ad essere “fatta così”, finalmente arriva la diagnosi di malattia rara autoinfiammatoria, una Sindrome genetica con febbre periodica.
A complicare ulteriormente la situazione, ci sono numerose altre malattie croniche.
Parlarne è fondamentale: più conoscenza, meno pregiudizi e meno stereotipi.
Le mie diagnosi sono state ritardate notevolmente, sia dalla mancanza di conoscenza delle malattie rare da parte dei medici sia a causa dei loro stereotipi e pregiudizi. Per anni sono stata “solo ipocondriaca”, “ansiosa e depressa”, una “malata immaginaria”. Per anni sono stata sminuita e umiliata da chi avrebbe dovuto aiutarmi, ma invece mi diceva che “i malati veri erano altri”, che “dovevo vergognarmi di fingere” e che “se avessi veramente avuto tutti quei sintomi, sarei già stata morta e siccome ero viva allora mi inventavo di stare male”, fino ad arrivare ad accusare la mia famiglia, dicendo che erano loro la mia rovina solo perché mi hanno sempre supportata e sono rimasti sempre al mio fianco.
Ogni giorno è una sfida. La mia vita è cambiata molto. Molte cose non le posso più fare, per la maggior parte ho bisogno di essere sempre accompagnata e mi sposto con l’ausilio di un deambulatore. Da un anno a questa parte però ho iniziato a raccontare la mia storia e a fare volontariato per diverse associazioni che si occupano di malattie croniche invisibili e malattie rare. Parlarne non solo aiuta a far pace con la malattia e con se stessi, ma può aiutare tantissime persone che magari non sono ancora riuscite ad arrivare ad una diagnosi. Aiuta a sentirsi meno soli, a fare rete e rendere visibile l’invisibile, a mettere in luce le malattie rare e i problemi connessi. Insieme ci si dà forza l’un l’altro, ci si confronta e ci si consiglia.
Da soli siamo pochi ma insieme siamo tantissimi e la nostra voce arriva forte e chiara

Silvia
Vite Rare

Vorrei anch’io utilizzare l’hashtag #ChiamalaXNome, ma la mia malattia ancora non ce l’ha. E’ una patologia neurologica insorta alla fine della gestazione, per cause ancora incerte, e che mi porta ad avere una disabilità motoria.
Sono rara tra i rari. “Cosa me ne faccio di tutta questa rarità?”
L’ho presa per mano e ne ho fatto la rappresentazione migliore di me. Tutto ciò che sono, tutto ciò che faccio, è anche merito di quella rarità che mi caratterizza.
Insegno, faccio attivismo, racconto storie per rappresentare, a mia volta, la rarità che risiede in ognuno di noi. E che ci rende unici e speciali. Soprattutto, che ci unisce, nei più diversi e splendidi colori dell’arcobaleno della vita. #RariMaiSoli

Giulia e Anna
Vite Rare

Ciao sono Giulia mamma di due splendidi bambini ,Diego 7anni ed Anna che farà un anno a marzo.
Anna è la nostro diamante Raro.
Durante la gravidanza nonostante la visione di un femore corto mi furono indicate solo eco di secondo livello con la conclusione che si sarebbe potuto trattare di una displasia ossea con riferimento al nanismo (così ci fu detto anche dalla genetista,una volta che ebbe visione delle eco e dei dati di crescita)
Anna è nata l’11 marzo ed era chiaro fin da subito che era qualcosa di più…sono partite le indagini genetiche (Esoma) e dopo 5 mesi di agonia ,con molteplici ricoveri presso un ospedale che detto francamente brancolava nel buio (unica cosa che riuscirono a capire e a fare fu la terapia del calcio e del magnesio),abbiamo avuto la diagnosi Kenny Caffey tipo 2,ci sono solo due casi in Italia compresa mia figlia.
È stato un momento che il mio cuore di mamma non dimenticherà mai.
Ti senti impotente,ti fai un sacco di domande sul domani,sulle cose tecniche da gestire,ti informi degli aiuti che il nostro Stato concede per dare una vita dignitosa a chi ha bisogno di aiuto ,la testa non smette mai di pensare.
Adesso Anna è in cura.

Anna è una guerriera di nemmeno un anno.
Le cose da affrontare saranno molte e purtroppo la poca conoscenza della malattia e la presenza di alcune complicanze personali di Anna che non sembrano far parte della patologia non aiutano il suo precario equilibrio.
Come mamma sono grata al Gaslini perché sta dando ad Anna la possibilità di una vita dignitosa e mi hanno formata come un infermiera per saper gestire tutto da casa (terapia e macchinari di assistenza respiratoria, per il suo respiro tachipnoico, e macchinari per la nutrizione,per adesso è con sondino naso gastrico tra un mese metterà la PEG)permettendoci così di vivere il nostro quotidiano in famiglia rendendo le ospedalizzazioni meno frequenti.
La vita ti cambia perché è inutile negarlo ma tutto sta in come affronti le cose ….Da noi si dice ” o nuoti o affoghi …e siccome siamo gente di mare si deve saper nuotare sempre”.
Molte volte mi sono chiesta perché proprio ad Anna….non troverò mai risposta ne sono consapevole e mi va bene perché Anna è il pezzo che mancava per riempire la vita della nostra famiglia e ciò che verrà lo affronteremo insieme,con lei e per lei.

Tecla
Vite Rare

Da anni avevo svariati disturbi che tra loro non sembravano essere correlati,chiazze rosse e pruriginose su mani e gomiti,disturbi della vista sempre più importanti,tra cui due episodi di neuriti ottiche,violenti spasmi addominali accompagnati dai più svariati disturbi gastrici,dolori articolari sempre più forti. Tuttavia ciò che mi lasciava molto perplessa era un fortissimo dolore al cuoio capelluto che mi provocava violente scosse alla testa,capaci di stordirmi e lasciarmi interdetta. Dopo anni di ricerche decido di rivolgermi ad un Immunologo che senza perdere tempo e con esami mirati mi diagnostica la sindrome di Bechęt,una patologia rara del sistema immunitario,con compromissioni non indifferenti che coinvolgono molti altri organi per la quale mi sono state a loro volta diagnosticate:artrite psoriasica,fibromialgia,disturbi della vista in stato avanzato ed un drastico calo dell’udito,e non solo.
Ho iniziato una terapia biologica,non è una cura perché purtroppo non ci sono cure per la mia sindrome ma il farmaco mi aiuta a tenere sotto controllo la malattia e mi infonde fiducia e speranza,spero e sono certa che la ricerca mi aiuterà sempre di più.

Ilaria
Vite Rare

Affetta da Sindrome di Cowden, lo scopro a 40 anni grazie all’intuizione di un tecnico radiologo a cui avevo raccontato la mia travagliata storia clinica (“ti faccio fissare un appuntamento con il gastroenterologo e anche con un genetista va, così ci arrivi a fondo”) dopo un ricovero in pronto soccorso. Faccio fare il test del dna ai figli, il bonus ovviamente lo vince la femmina. Sotto controllo entrambe presso la genetica dell’Ospedale Sant’Orsola che ci ha organizzato un percorso di screening davvero eccellente. Vita normalissima non fosse ovviamente per quella sensazione di precarietà perenne che ci attraversa quando facciamo i controlli. 1 caso su 200 mila mi hanno detto, in famiglia da me ce ne sono due.

Andrea
Vite Rare

Ciao a tutte e tutti, mi chiamo Andrea (De Candia), e in occasione della Giornata della Malattie rare, vi racconto la mia: la mastocitosi sistemica.

 

La mastocitosi sistemica indolente in quanto tale non è solo cutanea, ma colpisce anche l’organismo. La cosa più sensata da dire è che è un accumulo di mastociti negli organi. Non fa distinzione di sesso, età o etnia; se viene alla nascita si può guarire nell’adolescenza, diverso è se compare in adolescenza o dopo.  

Era il 2014, avevo vent’anni, ero al mare una nottata e il giorno dopo allo specchio ho visto delle

macchie sulla schiena. Poco a poco si sono diffuse su gran parte corpo. Si possono con tutta probabilità diffondere anche internamente, colpendo anzitutto il midollo. Possibile, ma non certo, che sia accaduta in maniera acquisita una mutazione genetica. Importantissimo è dire che non ci si deve rivolgere solo ai dermatologi, va fatta proprio la biopsia sottocutanea, poiché l’approccio alla diagnosi e al trattamento è multidisciplinare, e, se proprio si può privilegiare tra le diverse una figura medica specifica, questa è l’ematologo; ma non sono da escludersi l’allergologo, e solo in secondo luogo, semmai, il dermatologo; non a caso viene anche definita spesso come un ”disordine del sangue”. I sintomi sono tanti e li avvertiamo ognuno in maniera differente. Somigliano a quelli dell’osteoporosi, alla fibromialgia, c’è un aumentato rischio di fratture, si può avere vomito, nausea e prurito. Succede a volte che la malattia si scopre dopo uno shock anafilattico o una frattura alle vertebre, se non c’è manifestazione cutanea. Questa malattia è poco conosciuta, per fortuna c’è un’associazione ASIMAS, fondata nel 2008, con una presidente bravissima, altruista ed empatica, a suo figlio e a tutti noi dice sempre: “Vivi la malattia, ma non lasciartene dominare!”.

 

Purtroppo non posso donare né il sangue né il midollo. La parte estetica ti fa combattere con l’autostima, e so che questo aspetto può mettere davvero alla prova psicologicamente, dacché sembra davvero che compaiano macchie nuove ogni mese, e così in effetti è. Non è una tragedia, ma devi sempre pensare a cosa desideri, perché le angosce sono inutili. La depressione è possibile, e, quando si riscontra, non si sa se sia legata direttamente alla malattia, o venga perché la malattia ti rende la vita difficile. Quando sono lucido vivo la mia salute come una risorsa piena e completa che ti fa amare e comprendere davvero chi sei!

 

All’inizio ho perso tempo con il dermatologo, sembrava un’orticaria e ho fatto la terapia UV, senza risultati. Ho avuto la diagnosi dopo cinque anni, ho fatto controlli per un paio di anni avvicinandomici ma non arrivando al nocciolo prima di così. La mia è una forma relativamente fortunata, per ora, comportando una sintomatologia moderata. Somiglio a un dalmata, ho dolori abbastanza gestibili però negli ultimi tempi ho più sonno. La mia forma indolente si può trasformare. Io ho una forma gestibile non grave: insegno, il mio lavoro in un paesello mi rende contento. Mi dispiacciono questi momenti di stanchezza in cui sento le mie membra come ingessate. Io l’adrenalina autoiniettante ce l’ho sempre

nello zaino, in caso di puntura di un imenottero può intervenire a scongiurare un probabile shock anafilattico e può salvare la vita, e con il cibo ho cominciato a prestare attenzione, specie in relazione all’istamina, ai cibi nei quali è contenuta, e a quei cibi che la liberano. Da un anno ho notato una riduzione nella capacità di correre, ma non mi fermo. Do a tutti un consiglio sottile e acuto: di non pensare che tutto quello che hai e vivi sia riferito alla malattia.

 

Seguo su Instagram la malattia nel mondo da un po’ di tempo, è tutto simile e contemporaneamente tutto diverso, anche negli stili di vita e nel modo di affrontarla e di mostrarla. Mi dispiace osservare che non è incentivato un giusto dibattito nei mass media, proprio sulle pelli con malattia, tabuizzate per la maggioranza, per questo non mi spiace mettere al servizio la mia voce nel diffondere l’importanza della conoscenza di questa malattia e delle malattie rare.

 

Il colore-simbolo della mastocitosi sistemica è il viola e la coccinella è un animale che è stato utilizzato funzionalmente all’accettazione estetica, in particolare per i bambini. Desidero pubblicare questa foto della mia schiena – spero che non sembri egocentrica – per mettermi a disposizione, per incentivare la massima chiarezza. All’estero trovo che ci sia più apertura, da  noi ancora commentiamo e non affrontiamo direttamente la questione e questo sottrae, forse, qualche opportunità di vivere meglio.

 

Antonello e Giorgia
Vite Rare

Sono il padre di Giorgia. La sua malattia riguarda un bimbo su 3000, provoca proliferazione di cellule, quindi formazione di fibromi in tutta la parte nervosa del corpo, sulla pelle, nel cervello e chi più ne ha più ne metta. Le persone con neurofibromatosi si riconoscono subito dalla loro pelle. 

 

Ti spiego volentieri la storia che può essere emblematica. Giorgia nasce nel 1996, io e mia moglie Laura stiamo bene, è una bimba bellissima di 4 chili.

Io assisto al parto, la valutazione alla nascita è 10 (indice di Apgar) sono felicissimo, avevo sempre desiderato una bambina. Avevamo una pediatra in gamba, siamo stati fortunati, aveva lavorato a Monza in ospedale. Al primo anno di età di Giorgia le vede delle macchie piccole e meno piccole, color caffellate. Teniamo controllate queste macchiette, ci dice. Noi siamo stati tranquilli, abbiamo pensato che sarebbero sparite. A tre anni la dottoressa la visita in maniera approfondita durante una influenza, vede qualcosa che non va  e ci chiede se siamo d’accordo a fare dei controlli, in particolare  una visita oculistica a Monza. Quando siamo andati alla visita ci aspettava una intera equipe e noi l’abbiamo trovato strano. Bendano la nostra bimba  da un occhio, la teniamo per mano e ci accorgiamo che lei non vede. Viene ricoverata in neuropsichiatria infantile, dove le fanno l’ellettroencefalo e visite di tutti i tipi per due settimane. Il neurologo ci chiama per parlare del referto. Lì ho avuto “la mazzata”. Non si può scordare tutta la vita questo momento. Ci dice poche parole; è un tumore cerebrale, si tratta di una malattia genetica, glioma del chiasma…. I medici fanno un lavoro eccezionale però quello che io dico è che c’è modo e modo di comunicare con l’ammalato. Abbiamo trovato un bravissimo dottore ma carente nella comunicazione. Sono rimasto scioccato. Io non riuscivo ad aprire la bocca. Se non ero seduto cadevo per terra. Dottore cosa dobbiamo fare adesso? Noi abbiamo pensato alle prospettive di Giorgia, lui ha detto prepareremo un équipe, e poi potrebbe perdere la vista, quindi  insegnamole il braille. Non connettevo più ….sono entrato nella stanza di Giorgia e sono letteralmente crollato… 

Le macchie caffellatte erano un indizio molto importante.

La portiamo a Monza in un reparto di oncologia, parliamo ormai di un tumore delle vie ottiche. Chiederanno un protocollo da Londra per la chemioterapia. Dopo qualche giorno torniamo e l’oncologo ci dice che ha conosciuto un collega che a Padova cura diversi bimbi con il glioma del chiasma. Quella cura da benefici sul momento ma alla sospensione il tumore torna come prima. Nel caso della neurofibromiomatosi invece diventa un tumore dormiente. In quest’ottica al momento non iniziamo la chemio ma monitoriamo Giorgia. Posso dire che  sono stato contento, anche se facevamo delle risonanze magnetiche alla testa ogni tre mesi. Il tumore non cresceva quasi per niente. 

Intanto mi consideravo un po’ rimbambito, la mia testa non comprendeva nulla. Succedeva che tornavo a casa e mi sembrava di impazzire… Non so come vivono i genitori che non sanno cosa hanno i loro figli. Mia moglie è una donna fortissima. Ho avuto dei momenti non belli e lei è stata la colonna. Ha sempre avuto uno sguardo di speranza io sono stato sempre molto molto più preoccupato… io mi sono sempre occupato della parte clinica e scientifica. 

Bisogna esserci dentro per capire cosa si prova. Ci sentivamo soli. Le prospettive non erano così rosee. Troviamo un contatto e un telefono della ANF di Parma. E’ stato come trovare un’oasi mentre cammini nel deserto. Prima di tutto ho trovato persone che mi ascoltavano, avevano materiali informativi e organizzavano convegni. Ho trovato la forza di partecipare a tutti, dico tutti i convegni. Ho potuto fare tante domande a tanti dottori. Mi si sono cominciati ad aprire gli occhi e il cervello ho capito che questa malattia si può combattere anche se non si può guarire. Oggi sono consigliere nell’Associazione e mi impegno per tutto quello che posso.

La scuola è stata un po’ difficile. L’occhio da cui Giorgia non vede va fuori asse, è storto, e fin dalle elementari le ha provocato qualche piccolo atto di bullismo. I bimbi sono belli ma a volte anche un po’cattivelli. Io ho  fatto il rappresentante di classe per esserci sempre, nei  momenti più belli e momenti in cui si deve aggiustare un po’ il tiro, con gli insegnanti che non sono sempre disponibili verso i DSA. La vita di mia figlia è andata così avanti. Nel tempo sono cresciute le macchioline e anche i neurofibromi. Ci ha chiesto spesso: perché gli altri mi guardano? Ha studiato combattendo con le sue difficoltà, si è laureata a scienza dell’educazione alla Bicocca. Lavora ed è autonoma. Ha la patente ma siccome la malattia avanza all’ultima visita ha avuto una riduzione per l’autostrada e per le guide di notte.. 

Lavoravo in banca e mia moglie e i miei suoceri hanno seguito tantissimo mia figlia. Da quando sono in pensione mi occupo tantissimo di lei e della vita associativa perché l’unione fa la forza e perchè a me ha dato tanto quando mi sentivo perduto. Entri in un mondo di sofferenza, ma condividi con gli altri tutto. Il mondo delle malattie genetiche rare è complesso. Questa malattia sfigura non ti dà il coraggio di uscire, di cenare insieme, in associazione invece vedo le persone che stanno insieme felici. E poi è importante per la questione organizzativa e del futuro: se vado io a parlare con un direttore sanitario magari non mi riceve, invece giustamente le associazioni sono sempre bene accolte. La sanità sta attraversando una crisi durissima per la chiusura di reparti specializzati, per le liste di attesa, per i dottori esperti che vanno in pensione… Attraverso l’associazione possiamo stare in contatto con altre regioni come l’Emilia, il Piemonte e anche con le regioni del Sud. La mia esperienza mi ha insegnato che aiutare gli altri non costa nulla anzi fa stare meglio. Venti anni fa quando c’erano meno informazioni e c’era meno ricerca siamo stati contattati da un paio di ospedali americani per monitorare la nostra bimba, noi siamo rimasti al San Gerardo a Monza, in Lombardia abbiamo centri di riferimento di eccellenza. Sappiamo che questa malattia non ha una cura. Adesso c’è un farmaco che risulta efficace è riconosciuto in Spagna in Francia in America e adesso dobbiamo lavorarci in Italia.

Giorgia per me è la mia bambina, quando dorme la sera vado ancora a farle il bacio… Ha fatto un’infanzia, per quello che avuto, difficile ma felice. Non è diversa dagli altri. Tanti sono stati problemi nell’adolescenza, ad esempio con le compagnie, oggi che l’estetica conta molto, ma ha trovato sempre qualche amica. Ha avuto le sue difficoltà nella scuola, nello studio, la sua vita è stata un po’ limitata. Un po’ è stata esclusa è un po’ si è sentita esclusa. Bisogna segnalare che c’è un momento veramente molto critico nel passaggio da minorenne a maggiorenne sia per i ragazzi che per le istituzioni. Giorgia ha voluto fortemente iscriversi all’università e si è laureata. E’ rimasta fuori dalla vita sentimentale dei giovani, ma qualche tempo fa ho conosciuto un ragazzo di Magenta, vedranno se avranno un futuro, un giorno, un anno una vita. Il lavoro come educatrice le piace anche non è facilissimo per lei. Adesso sta andando dallo psicologo per affrontare le sue paure e questo l’aiuta, la carica. 

 

Avrei voluto tre figli, sono rimasto immobilizzato dal fatto che mia figlia sarebbe potuta rimanere cieca, oggi sono pentito ma la vita va come vuole andare. Una delle immagini più belle è il giorno in cui Giorgia si è laureata: la rivedo come era felice e sono felice anch’io.

Matia e Brando
Vite Rare

Quello che mi ha fatto capire questa mia avventura di padre di un bimbo con malattia rara?  Che non esiste la normalità!  Se vedi la spiaggia, la osservi meglio e vedi che sono tutti granellini di sabbia, poi la osservi meglio e vedi che sono uno diverso dall’altro. La spiaggia la fanno le persone che sono normogenetiche e le persone che non lo sono.

Inizio raccontandoti quello che spero presto, scriverò in un libro che racconti la nostra avventura. Mio figlio Brando nasce 9 anni fa, bello e grassottello. E’ un bimbo “normale” fino a 18 mesi. Dopo che ha contratto l’osteomielite viene ricoverato per tre settimane e viene curato con gli antibiotici. Dimagrisce molto e perde l’appetito. In un primo momento abbiamo dato la colpa a questo periodo. I dottori ed io pensiamo che è molto magro perché assomiglia a mia moglie, mia moglie invece ripete preoccupata “non mangia, è troppo secco”.  Io resto ottimista, come i pediatri, mi ripeto “è magra lei, è magro lui”. 

Quattro anni dopo nasce la nostra seconda figlia, Cloe, la sorellina. E’ proprio una sera che mentre facevo la doccia ad entrambi i miei bambini che toccandoli ho sentito che erano molto diversi, al tatto, nei tessuti…Quel momento non lo dimenticherò, mi ha toccato dentro. “C’è qualcosa che non va – dissi a mia moglie – avevi ragione”. Ci rendiamo conto che Brando scende male le scale e che anche su altri fronti le cose non vanno bene. Ci rivogliano tra i tanti anche ad un pediatra che avevamo incontrato in passato, che per primo ci indica una possibile strada genetica. Così finalmente nel marzo 2020, con l’aiuto del Meyer, iniziamo il percorso con i genetisti. I primi screening evidenziavano una situazione normale. Ma andando più a fondo, l’analisi del genoma ha evidenziato la sindrome MPDL (Mandibular Hypoplasia, Deafnessand Progeroid features with concomitant Lipodystrphy). Brando era il 25º individuo al mondo con questa sindrome. La notizia? È stato un cazzottone che ha risuonato duro. È stata una gioia, perché tutto il puzzle andava a ricomporsi. L’emozione è stata di tristezza ed euforia insieme. Una mutazione “de novo”, avevamo fatto per sicurezza l’analisi anche mia moglie ed io, non risultava nessuna ereditarietà. Posso dire che è stato anche un momento di lutto: se ne andata una persona e ne è nata un’altra nuova. Il momento della diagnosi è un momento di svolta: dopo tutto si inquadra come prima della diagnosi o dopo la diagnosi.

Al Meyer era la prima volta che vedevano questa sindrome. Brando era il terzo caso in Italia. Siamo infine arrivati a Pisa, a Cinisello, al Centro Lipodistrofico. Ce lo ha segnalato il professor Giuseppe Novelli a Roma a cui avevo scritto “Vorrei portarle a far conoscere Brando” E’ lui gentilissimo ci ha incontrato ed introdotto al Centro di Pisa. Lì abbiamo cominciato a sentirci capiti e supportati con esperienza. È stato poi importantissimo anche conoscere la testimonianza di Tom Stanford, campione di ciclismo paralimpico inglese che ha fatto scoprire la sua sindrome 10 anni fa (la Mutazione del gene Pold1). Gli ho scritto e ci sentiamo, ci vediamo anche con altri, ad esempio su Facebook. Come succede anche grazie all’appartenenza all’associazione AILIP, scopri quanto è importante stare in relazione, è come essere parte di una famiglia in cui puoi non sentirti mai solo e scambiarti consigli e esperienze. Ad esempio Brando è rinato da quando ha i plantari perché può giocare a basket e muoversi finalmente senza dolore. Ci diamo consigli di questo genere, ci sentiamo sul dentista, sul fisioterapista…

Veniamo all’argomento scuola. Siamo alle elementari e fino ad oggi le maestre ci hanno supportato tanto. Brando è più sveglio della sua età e ha preso proprio oggi una pagella splendida! Abbiamo condiviso con le maestre la regola “niente sconti”, semmai con l’eccezione ogni trimestre, quando ha i suoi Day-Hospital. Mio figlio ha i suoi amici, si fa ben volere, ha una simpatia contagiosa. Intanto stiamo già preparando il terreno per le medie, perché sappiamo che le cose potranno cambiare anche molto. Intanto Brando la sua malattia, la sua specificità, la mette avanti da solo, anche prima che gli altri la possano commentare. Cresce con consapevolezza. 

Serve visibilità e serve sostegno, perché la ricerca ci cerchi abbiamo bisogno di richiamare attenzione. Il 28 febbraio saremo tutti insieme in Piazza Signoria a Firenze; faremo un girotondo, i medici porteremo porteranno caramelle, noi porteremo cioccolatini all’olio, altri porteranno le loro esperienze o semplicemente i loro sorrisi.

La sorellina non ha ancora realizzato del tutto la situazione, a parte quando vede che ci prepariamo e affrontiamo i Day-Hospital. Lei è importante, crescono insieme con Brando. Io che ho una sorella maggiore ho sempre desiderato di avere più di un figlio, perché credo fermamente che tra fratelli ci sia una cosa importantissima, che è il sostegno. 

Brando è il primo maschio del Mediterraneo, teniamo in attenzione la questione degli effetti della nostra dieta in confronto a quella ad esempio inglese dove mangiano più grassi e zuccheri, il nostro olio apporta effetti benefici come grassi insaturi ricco di polifenoli. E davvero mio figlio sa selezionare in autonomia le cose che gli fanno bene.

A proposito di dieta e di olio era destino che questo fosse una parte importante della mia vita, infatti nello stesso anno che è nato Brando (giusto 3 mesi prima) per esorcizzare un grande dolore per una grande perdita, abbiamo fondato il Magnifico, l’Oscar Europeo degli oli d’eccellenza. Proprio il giorno prima dell’ultima cerimonia di premiazione, la gattina che avevamo preso poco dopo la diagnosi, Tigrina (Brando la desiderava così tanto) l’abbiamo vista con la coda che le strisciava a terra. L’aveva investita un’auto e purtroppo il veterinario ha dovuto decidere di tagliarle la coda. Passa un po’ di tempo e Brando mentre se la stringe a se le dice: tu sei senza coda e io sono senza grasso, siamo fatti per stare insieme! A noi adesso i gatti con la coda ci fanno effetto, vedi come la realtà è solo un punto di vista? Quando parlo all’esterno della malattia rara le persone si mettono in modalità “Oddio che problema”. Quando siamo tra noi ci sembra che tutto sia normale, anche se non posso negare che dentro abbiamo una voragine. 

Ed è vero che siamo costretti a fisioterapia, controlli, analisi… ma siamo convinti che impegnandosi la qualità della vita alla fine sarà buona. Bastava che il suo gene cambiasse un po’ e diventava pericoloso ad esempio per il tumore al colon, quindi c’è solo che da gioire. 

Brando da grande vuole fare l’istruttore di basket. Da poco gli piacciono anche l’informatica e i computer. Ogni giorno dimostra che sono solo gli occhi di chi guarda che ci fanno diversi. Ha paura quando deve fare il Day Hospital, si agita due settimane prima, poi appena lo ha fatto cambia umore e dice che bella giornata! Adesso per esempio pensa solo a quando andremo a Valencia. 

Questa situazione non è un gioco è una cosa seria ma è importantissimo ricordarsi di non vivere da malati.

Fa bene fare del bene era già un mio motto ma adesso lo è ancora di più. Una storia, una persona può cambiare il mondo, come una gattina senza coda.

 

Angela e Stefano
Vite Rare

Il giorno della nascita di Stefano è stato per me un incubo: nessuno mi diceva niente, solo che aveva la Sindrome e il cuore a destra….e basta! Fu ricoverato dopo un paio di giorni al Meyer e una volta fuori, ho cercato di aiutarlo come potevo, ma sempre alla rinfusa.

Nessun medico conosceva questa sindrome, alla Asl men che meno, ma ogni tanto incontravo qualche angelo custode come il primario di genetica di Careggi che mi inviò al Gaslini di Genova per Natale.

Da lì è partito tutto: non perchè, beninteso, al Gaslini abbiano capito qualcosa, ma perchè ho incontrato un dottorino giovane che mi disse di contattare uno psicoterapeuta di Firenze famoso in tutta Europa, tal Prof. Milani. Grazie a questo professore Stefano ha fatto grandi passi avanti: si può dire che è nato per la seconda volta.Quando ho conosciuto l’Associazione Stefano aveva già 14 anni e avevo già girato mezza Italia per ospedali, urlato nelle Asl con neuropsichiatre e logopediste, litigato ogni anno con il Provveditore agli Studi che insisteva nel dividere l’insegnante di sostegno fra 4 o 5 ragazzi.

Una delle esperienze peggiori è stata quando un nido rifiutò di accettarlo: fiumi di lacrime e una denuncia…(abbattuta sì, ma sempre battagliera!!!!).

I genitori giovani di adesso hanno a disposizione un’Associazione organizzata, altri genitori nei gruppi, internet: ai miei tempi non c’era niente di tutto questo, bisognava provare e riprovare, combattere, cercare tutte le soluzioni e ascoltare tutte le proposte, anche le più impensate.

Con il senno di poi mi dò comunque un bel 10 e lode per come Stefano è cresciuto e per le esperienze che ha fatto; forse avrebbe potuto fare di più (piscina, ginnastica), ma io ho fatto quello che ho potuto, avendo anche una mamma in dialisi.

Oggi sto tirando i remi in barca: età, acciacchi mi rendono più stanca; Stefano fa un inserimento in un ristorante e alcuni corsi, è contento e allora lo sono anch’io.

 

Al futuro non ci penso, cerco di vivere alla giornata come ho sempre fatto: mi sono iscritta a una Fondazione per il Dopo di noi, ma ho le idee ancora confuse. Immaginare Stefano fuori di casa sua mi fa morire, così vorrei trasformare la nostra casa in una casa famiglia. Ma per ora è solo un progetto

Aurora
Vite Rare

Mi chiamo Aurora e ho quasi 25 anni. Ad aprile 2022 ho scoperto di soffrire di miopatia mitocondriale, ed è stato per me l’inizio di una nuova vita.

Ho sviluppato i primi sintomi intorno al 2014, e nessuno riusciva a capire da dove derivasse il mio continuo malessere (affaticamento al minimo sforzo, dolori muscolari, stanchezza cronica) che è sfociato poi in una pesante depressione. Mi sentivo sbagliata, nessuno riusciva a credere che io stessi davvero così male. Ancora oggi mi sento diversa dagli altri, mi ritengo sfortunata a non poter fare molte cose che i miei coetanei fanno, ma allo stesso tempo sono felice di aver trovato finalmente dei medici che mi seguono e mi aiutano ad affrontare questa sfida che anni fa pensavo fosse impossibile

Emanuela
Vite Rare

Sono la mamma di Emma e Claudia, due bambine di 8 e 6 anni fenilchetonuriche. La nostra vita è cambiata il 10 dicembre del 2014 quando riceviamo dall’ ospedale dei bambini una chiamata dicendo che lo screening presentava un valore alto e pertanto dovevamo ripetere per avere conferma. 

Ho potuto evitare il peggio grazie ai medici che hanno fatto sottoporre la mia famiglia alle indagini genetiche, da cui abbiamo constato l’avvenuta mutazione genetica. Sono contenta di sapere che la ricerca per le malattie rare sta funzionando alla grande, grazie per ciò che fate!
#RarimamaisoliPurtroppo ripetendo lo screening è venuto fuori che la mia primogenita avesse la fenilchetonuria, una parola per noi senza significato, ma che sarebbe che succede che comporta? La dottoressa fra le mie lacrime provava a spiegare cosa fosse , ma leggendo su Google è andata sempre peggio, cosa ha la mia bambina, crescerà male , avrà un deficit , non sarà normale… ebbene grazie a Dio seguendola bene attentamente e scrupolosamente lottando con una burocrazia infinita persone egoiste, siamo qui a vivere quotidianamente con le limitazioni che questa patologia comporta ma cercando di vedere sempre il mezzo bicchiere pieno e pensare che tutto sommato siamo stati fortunati! Ogni giorno per noi è una sfida, ansia, soddisfazione, orgoglio che le mie bambine riescono a darmi …e cerchiamo e speriamo sempre nella scienza e in nuove scoperte che aiutino questi pazienti speciali a fare una vita meno sacrificata.

Maria
Vite Rare

Mi chiamo Maria, ho 23 anni. Nel 2017 sono stata operata per l’asportazione di un angioma cavernoso sanguinante nel corpo calloso scoperto nel 2011, dopo che nel 2009 era stata operata mia madre per un angioma talamico grande più di 4 cm

Ho potuto evitare il peggio grazie ai medici che hanno fatto sottoporre la mia famiglia alle indagini genetiche, da cui abbiamo constato l’avvenuta mutazione genetica. Sono contenta di sapere che la ricerca per le malattie rare sta funzionando alla grande, grazie per ciò che fate!
#Rarimamaisoli

Tatiana
Vite Rare

Mi chiamo Tatiana e soffro di una patologia rara da inizio 2021. Ho sempre avuto problemi con una rinite ereditata da mio padre che anche lui predisposto alle malattie rare ci ha lasciato nel 2018 a causa della SLA.

Io ho cominciato a sentire dolore al naso che nel frattempo non rispondeva più a spray cortisonici e cure varie. Nel giro di pochi giorni ho smesso di dormire o meglio mi svegliavo di continuo per prendere antidolorifici (sono arrivata a 7 oki per notte). Si perché per ragioni che ho scoperto in seguito sdraiata la vascolarizzazione si fermava per lasciare spazio a quella che poi si scoprirà essere la mia condanna. Ho iniziato il tour degli otorini primari di strutture importanti ricevendo risposte del genere “io una cosa così non l’ho mai vista”. Nei mesi successivi il dolore era ingestibile e ho dovuto imparare a farmi punture di morfina da sola per non aver quel inspiegabile e lancinante dolore continuo. Sentivo che il mio naso si stava mangiando da solo, era gonfio e mi svegliavo spesso con sangue che era colato nella notte. Distrutta e vicina alla più forte disperazione che mi portava a pensare di togliermi la vita perché incapace di continuare a tollerare un mostro che mi stava distruggendo le vie respiratorie. Sono partita per l tour dei migliori ospedali del nord, ricoveri su ricoveri senza trovare una diagnosi né tantomeno una cura. Pavia, San Matteo, clinica specializzata in malattie rare ha prodotto una cartella clinica alta come una Treccani ma mi ha dimesso senza una spiegazione. Ho passato un mese a Cisanello (Pisa) dove un infettivologo mi ha somministrato flebo di antibiotici ogni giorno per un mese. La situazione è rimasta la stessa, obbligando il Professore a fermarsi fiutando che qualcosa sotto muoveva il sistema. Cosa stava succedendo in pratica?! Il naso era totalmente in necrosi infettiva e non si fermava di fronte a nessun tipo di flebo. Stava buono qualche giorno e poi di nuovo dolori ancora più forti. Codeina, morfina, ormai prendevo tutto insieme a scadenze di poche ore una dall’altra. Volevo solo smettere di soffrire così pesantemente. Volevo solo morire. I mesi passavano e non riuscivo più a vivere. A fine anno (12 mesi di sofferenza acuta dopo) avviene il miracolo. Mi suggeriscono un professore di Careggi Firenze. Ormai disillusa e convinta ad avere una sola soluzione per fermare una esistenza impossibile, mi ricoverano con urgenza e nel giro di pochi giorni una collaborazione stretta tra medici e otorino riescono a tirare fuori finalmente una diagnosi. OZENA NASALE CRONICO. Significa che questa patologia attacca e distrugge le vie respiratorie di un soggetto rinitico.. Risultato diagnostico : completamente sembrato il naso. Sono morte e crollate le mucose, le cartilagini e il setto nasale e un grosso unico canale perforato che unisce la 2 vecchie narici. È iniziata così una corsa contro il tempo per bloccare questo meccanismo di necrosi che può in la laringe impedendo la deglutizione. Mesi di flebo, punture e soprattutto la salvezza sono stati i lavaggi topici con antibiotico ospedaliero, 3 al giorno. Controlli settimanali. Poi la bestia si è fermata lasciando danni devastanti. Ci ho messo mesi ancora di dolori ma a aprile 2022 finalmente stavo bene. Niente più male e un naso vuoto ma sano e estremamente delicato. La felicità è stata indescrivibile. Ho potuto ricominciare a vivere e a lavorare nonostante abbiano continuato a monitorarmi. Poi a Novembre 2022 la sorpresa, i dolori forti sono ricominciati da capo perché purtroppo questo tipo di patologia prevede recidive senza una spiegazione scientifica. Gennaio 2023, sto ancora combattendo per fermarla, sto leggermente meglio ma il tunnel è ancora buio. So che ce la farò anche stavolta ma il dramma è che ricapiterà e nessuno sa spiegarmi perché. Ho anche foto da allegare nel caso fosse possibile pubblicare la mia testimonianza tra le malattie rare riconosciute in un codice R99, che suona proprio come una croce da trasportare tutta la vita.

Giovanna
Vite Rare

Mi chiamo Giovanna Martina Campioni e sono nata 48 anni fa a Frosinone, città natale di mio padre.

I miei genitori, vivendo in Germania sin da piccoli, desideravano far nascere la loro primogenita in Italia, e così fu.

Avevano, come ogni genitore, mille progetti su di me, mi vedevano già grande sana, bella e forte.

Ma i loro mille desideri furono infranti proprio dalla mia nascita, non ero forte né tanto meno sana, e forse neanche tanto bella, dato che dai racconti successivi di mio padre seppi che ero nata nera, cianotica.

Scoprirono dopo quindici giorni che la loro figlia aveva una seria malformazione cardiaca.

Sono nata con una cardiopatia congenita complessa tipo atresia della tricuspide, destrocardia in situs solitus, interruzione della vena cava inferiore con continuazione azigos, stenosi della valvola polmonare, e mal posizione dei grandi vasi, in parole povero mi mancava mezzo cuore.

I miei primi undici anni li ho passati la maggior parte in ospedale, a volte anche molti mesi di seguito e per questo motivo non mi sono mai sentita a disagio negli ambienti ospedalieri, l’ospedale era la mia casa, i medici ed infermieri la mia famiglia, i miei amici.

A 5 anni decisero di operarmi per la prima volta. Ricordo il giorno in cui sono uscita dalla terapia intensiva, ricordo la mia gioia nel credere che finalmente il mio cuoricino ribelle fosse guarito.

Quando avevo 12 anni i miei genitori decisero di tornare a vivere in Italia, dove il clima sarebbe stato più favorevole per me, secondo i cardiologi tedeschi.

In Italia purtroppo solo il caldo era la nota positiva perché per tutto il resto è stato difficilissimo trovare un centro ospedaliero che riuscisse a curarmi come avevo bisogno.

I miei genitori, come tanti genitori, con me hanno per anni dovuto affrontare dei viaggi della speranza per tutta l’Italia e Europa.

A 12 anni mi ritrovai catapultata in un paesino in provincia di Lecce, molto bello, ma molto diverso dal luogo dove ero cresciuta, malgrado i molteplici ricoveri, le mie abitudini erano completamente differenti, mi sentivo un pesce fuor d’acqua.

Il periodo delle medie fini ed iniziò quello del Liceo, che mi dette la possibilità di essere me stessa ed essere considerata uguale agli altri, un luogo dove non dovevo difendermi.

Le ospedalizzazioni continuarono, ma i miei compagni e miei docenti non mi fecero mai pesare la mia assenza, dandomi anzi tutto il supporto di cui avevo bisogno.

I ricoveri sono sempre stati frequenti, e fu necessario un secondo intervento, purtroppo però con la mia famiglia facemmo molta difficoltà a trovare un centro cardiologico idoneo in Italia. Dopo mesi di ricerche fui operata a Parigi.

Passai due mesi difficilissimi in ospedale. Operarsi a diciotto anni è diverso che operarsi a cinque.

Si ha una consapevolezza diversa, si è consapevoli che si potrebbe cessare di vivere.

Fu un periodo impegnativo, ma ne uscì, e questo mi rese ancora più decisa a non arrendermi di fronte a nessun ostacolo.

A venti anni ebbi, dopo lunghe lotte, il permesso di andare a studiare a Roma alla facoltà di Giurisprudenza.

I miei genitori si convinsero solo perché avevo trovato un centro che si occupava di cardiopatie congenite a cui potermi rivolgere in caso di bisogno, il Policlinico Umberto Il caso volle che ne avrei usufruito più del voluto, infatti la maggior parte dei miei esami universitari li ho preparati in ospedale.

Anche in questo periodo l’ospedale divenne la mia casa e il personale la mia famiglia.

A ventitre anni fu necessario un terzo intervento, nuovamente a Parigi.

Il copione fu lo stesso della volta precedente. La mia vita era ed è un continuo ricuperare, riprendere, ricominciare.

Ho dovuto impararlo.

Godere ogni momento come se fosse l’ultimo, ma tenendo in mente che bisogna fare tutto per non farlo essere l’ultimo.

In quegli anni le ospedalizzazioni continuarono, ma mai potevo immaginare di dovermi sottoporre anche ad un quarto intervento.

Mai come in quei giorni sentivo che avrei potuto non farcela.

Mi risvegliai in terapia intensiva.

Mi convinsi che nulla mi avrebbe più potuto turbare, neanche il dolore più forte.

Mi resi conto, e oggi ne sono certa, ogni intervento per me è stato una rinascita, ogni rinascita mi ha fornito gli strumenti per ricominciare.

Fu proprio durante questi mesi di ricovero che conobbi due medici meravigliosi, il dottor Giamberti, il cardiochirurgo che mi operò, e il dottor Chessa, il mio cardiologo.

Furono loro a insegnarmi che la mia malattia non era un limite, come qualcuno voleva farmi credere, ma una risorsa preziosa che avrei potuto utilizzare per fare del bene agli altri.

Oggi lavoro come Responsabile Nazionale nell’associazione Aicca Onlus – Associazione Italiana dei cardiopatici congeniti bambini ed adulti.

Da bambina mai avrei potuto immaginare che il mio mezzo cuore e la mia diversità mi avrebbero potuto un giorno permettere di fare un lavoro che amo sopra ogni cosa, ma soprattutto mai avrei potuto immaginare di poter fare tanto, di poter, forse, vivere e non semplicemente sopravvivere.

Sono diversa, continuo con i ricoveri, la mia patologia si è aggravata.

Ho dovuto impiantare un defibrillatore e da un anno sono in lista trapianto di cuore.

Nonostante questa diversità e l’aderenza alle cure, seppur poche vista la rarità della patologia, mi permetto di essere libera di vivere come mi piace.

Martina
Vite Rare

Mi chiamo Martina, ho 27 anni e mi sono laureata in Scienze del Mare con 110 e lode.

Da quando sono nata convivo con la #fenilchetonuria, PKU per gli amici, una malattia metabolica ereditaria potenzialmente grave.

Infatti, quando il trattamento non viene iniziato per tempo, la PKU può provocare anche un ritardo mentale irreversibile.

La fenilchetonuria è una malattia rara: in Europa la frequenza è di circa 1:10.000 nati.

La #PKU ha richiesto tempo ed energia soprattutto da parte dei miei genitori, che nonostante il mio enzima capriccioso non mi hanno mai fatta sentire malata o diversa.

La PKU è la mia caratteristica, il mio essere speciale!

Aurora
Vite Rare

15.09.2014: la mia vita è cambiata per sempre.

L’intervento alla schiena era andato per il meglio, ma non sapevo che avrei dovuto fare i conti a vita con una malattia rara: L’IPERTERMIA MALIGNA.

Questa malattia è una malattia genetica, si scatena quando vengono somministrati determinati farmaci come quelli rilassanti e alcuni anestetici.

I muscoli iniziano a contrarsi non riuscendo a smaltire i farmaci o anestetici, la temperatura corporea supera i 41 gradi, viene l’arresto cardiaco e morte celebrale.

Ecco quello che mi è successo durante l’intervento la mia temperatura è andata oltre i 42 gradi ho avuto l’arresto cardiaco e morte celebrale per alcuni secondi, ma poiché in America è una malattia abbastanza conosciuta, l’anestesista ha subito capito cosa stesse succedendo e mi hanno immediatamente somministrato un farmaco salvavita e immersa in una vasca di ghiaccio.

Quando ho saputo di questa malattia sono scoppiata in lacrime perché da quel momento ho avuto la consapevolezza che la mia vita fosse stata in pericolo ogni istante, prego sempre che non mi succeda nulla di grave o che non mi serva un intervento d’urgenza perché purtroppo in Italia non c’è un protocollo da seguire negli ospedali per questa malattia.

In Italia sono pochissimi gli ospedali che la trattano, il più vicino a me è a Brescia, motivo per cui ho dovuto fare il parto cesareo lì, è stato programmato e la sala operatoria è dovuta rimanere 24 ore chiusa apposta per me.

Spero che questa malattia inizi ad essere presa sul serio e che venga messo un protocollo in tutti gli ospedali d’Italia perché UNA MALATTIA RARA NON VUOL DIRE CHE NON ESISTE.

 

Cinzia
Vite Rare

Un giorno come gli altri ti svegli e dovrai fare fronte ai soliti impegni quotidiani, non sai ancora che questo giorno di settembre rimarrà per sempre inciso nella tua mente. Oggi, ricordando quei momenti, penso che questa circostanza abbia rappresentato per me e la mia famiglia un colpo di fortuna: grazie ad alcune alterazioni presenti in esami diagnostici specifici, che riguardavano mia madre e che io stessa sottoposi all’attenzione di medici specialisti , questi orientarono i loro sospetti verso una malattia del metabolismo, la Malattia di Anderson Fabry, che adesso so essere una malattia X-Linked, dove non solo i maschi, ma anche le femmine eterozigoti possono manifestare segni o sintomi di malattia.

 

Dopo lo stupore iniziale, la curiosità di capire e di conoscere questa malattia dal nome così complesso, mi assalì!  Fu proprio dalla narrazione della storia familiare, che i medici individuarono la necessità di effettuare ulteriori controlli su di me e sui miei fratelli, ma anche sui nostri figli. A quel punto, con i dubbi e le paure che mi portavo dentro, dovetti riunire tutta la famiglia per spiegare loro la necessità di sottoporsi a questi controlli. Subito il pensiero andò a mio figlio che allora aveva solo sei anni e che, ricordo adesso nel periodo in cui frequentava l’asilo nido, accusava qualche sintomo (dolore ai piedi e dolori addominali) e lo collegai mentalmente a questa malattia. Già immaginai il dramma di doverlo «convincere» a sottoporsi al prelievo e ci riuscii. Adesso non rimaneva che aspettare!

A distanza di qualche giorno i medici mi convocano e mi comunicano che non solo mia mamma, ma anche mio fratello e mio figlio, avevano la carenza enzimatica tipica della malattia di Fabry, io avevo gli stessi polimorfismi. Fu così che con grande sorpresa ed amarezza,  un nuovo mondo mi si rivelò davanti agli occhi, costringendomi ad attraversare una porta della vita che mai avrei immaginato di varcare visto che, fino a quel momento ne ignoravo persino l’esistenza!  Non so quale forza interiore si è innescata in me. Ricordo che non ho neppure pianto, so soltanto che ho deciso immediatamente che mi sarei occupata della malattia «sconosciuta» di mio figlio, ma non le avrei mai e poi permesso di prendersi tutto lo spazio nelle nostre vite. In fondo, noi non siamo le nostre malattie! Ho semplicemente ritagliato un piccolo spazio, ma non ho ignorato il problema.

La malattia di cui soffro sebbene piuttosto rara, può essere trattata con farmaci che possono controllarne i sintomi, per questo reputo mio figlio, noi, molto fortunati. Proprio perché credo tanto nella solidarietà tra genitori, iniziai a fare gruppo per cercare di risolvere alcuni problemi che avevamo in comune . Fu così che entrai a far parte di un’associazione di pazienti, l’associazione IRIS Malattie Metaboliche Rare per cercare tutti insieme di far sentire la nostra voce, il nostro bisogno. Ho sempre pensato che siamo «rari» per definizione, ma di certo non siamo trasparenti! Per tutti i genitori, per i loro bambini e soprattutto per mio figlio, negli ultimi 10 anni, ho studiato e dedicato parte della mia vita a un processo di empowerment (crescita personale e potenziamento) a vari livelli.  Ho cercato di realizzare un progetto di rete attraverso un protocollo d’intesa, in grado di unire le associazioni di malattie rare nella mia regione, per favorire l’empowerment , al servizio della persona con malattia rara.

Oggi devo dire grazie alla formazione svolta in questi anni dalla federazione Uniamo, e soprattutto grazie alla prima scuola di pazienti Season School Rare Disease che è stata realizzata dal Centro Studi Uniamo Goldin in collaborazione con UNIAMO Onlus, adesso ho una visione di insieme che mi ha consentito di aggiungere tasselli importanti e conoscenza nell’ambito, al punto di avere la possibilità e l’opportunità di assumere un ruolo proattivo nel sistema in grado di rappresentare in modo più consapevole il bisogno e l’ascolto della persona affetta da malattia rara.

Federica
Vite Rare

Mi chiamo Federica, ho 37 anni e sono affetta dalla nascita dalla sindrome di and Kusick-Kaufman.

Sono stata una bambina ospedalizzata, i miei giorni d’infanzia divisi tra i banchi di scuola e i lunghi ricoveri al Gaslini di Genova.

Poi un’adolescente insicura ed introversa.

Sono passata attraverso tante fasi, nel mio rapporto con la malattia.

La negazione, gli atti di resistenza ed opposizione, l’accettazione.

Oggi, grazie ad un percorso di ricostruzione in cui sono stata supportata da Associazioni dedicate, psicologi e medici meravigliosi, so che la malattia è una parte della mia vita, ma io non coincido con Lei.

Ho aperto un canale YouTube in cui racconto la mia storia, e cerco di trasmettere il messaggio che ci sono un milione di cose che si possono essere e fare, nonostante, ed anche in forza, di una patologia.

Spero con la mia esperienza di poter far sentire qualcuno meno solo, meno smarrito, meno spaventato di quanto mi sia sentita io per tanto tempo.

Non siete soli.

Andrea
Vite Rare

Ciao a tutti io sono Andrea, abito a Modugno (BA) il 5 gennaio ho compiuto 5 anni… e qualche giorno fa i medici mi hanno detto che ho una malattia molto strana che non mi permette di camminare.

Si chiama MALATTIA /MORBO DI PERTHES
Ora la mia mamma vuole raccontarvi la mia storia

“Da dicembre Andrea lamentava dolore alla gamba sinistra, a intermittenza ma continuava a giocare, saltare, correre andare all’asilo e fare tutto ciò che un bambino di 5 anni può fare.

A gennaio inizia a zoppicare in modo strano per poi camminare normalmente, non si lamentava, non piangeva e continuava a correre e saltare.

Questo zoppicamento andava e veniva e ho pensato fosse normale in un bambino come lui iperattivo che non riusciva a stare fermo nemmeno seduto sul divano.

Arriva febbraio, siamo stati in isolamento fiduciario per circa 10 gg per un caso di positività Covid all’asilo, e in tutti quei giorni Andrea non ha accennato più a nessun dolore o zoppichio strano, quindi mi sono detta che sarà passato da sé.
Invece il lunedì successivo dopo il tampone risultato negativo rientra all’asilo e le maestre all’uscita mi chiedono se avessi chiamato la pediatra per capire come mai aveva a ripreso a zoppicare…

Infatti mi accorsi che all’improvviso aveva ripreso a zoppicare in modo pesante, come se volesse trascinare la sua gambina.
Ho chiesto ad Andrea dove sentisse dolore ma lui non riusciva a spiegarsi dove fosse.

Mi precipito dalla pediatra il giorno seguente, che dopo una visita accurata mi prescrive un’ecografia e delle analisi per escludere un artrite.

Mi ritengo fortunata ad essere riuscita a prenotare un’ecografia il giorno seguente.

Dall’ecografia si evince un copioso versamento non identificato e mi dicono che sarebbe stato opportuno aver fatto dei raggi x che la pediatra invece non mi aveva prescritto e soprattutto una visita ortopedica di urgenza.

Preoccupatissima in quel momento chiamo il mio ortopedico di fiducia e seguo il mio istinto da mamma.. appena mi ascolta mi dice di correre in Pronto Soccorso e che avrebbe visitato Andrea in reparto essendo di turno.

Rincuorata corro in ospedale la mattina seguente.

Eseguono analisi, visita, insomma il triage da codice verde, arriva il momento dei raggi e li mi si gela il sangue

Il mio ortopedico mi annuncia la prima fase della MALATTIA di LEGG-CALVÈ-PERTHES (MORBO DI PERTHES) ascolto le sue parole, ma mi perdo nei miei pensieri e soprattutto nella paura del futuro del mio bambino.

Il medico mi spiega che siamo nella prima fase di necrosi dell’osso e con forte infiammazione e versamento, vuole a tutti i così avere un tutore “la staffa di Thomas” che cercherà di salvargli l’anca sinistra.

18/02/21 la vita di Andrea e la nostra è cambiata drasticamente, un fulmine a ciel sereno come lo chiamo io.

Andrea è stato in carrozzina per due mesi senza poter camminare, poi finalmente ci è arrivato il tutore, la staffa di Thomas che pesa 2.500kg, deve trascinare la sua piccola gambina con quel peso.

Non può più camminare da solo, andare in bagno, correre e saltare, necessita della mia assistenza tutto il giorno.

Ad oggi è un metodo conservativo obsoleto, nessuna ricerca scientifica ha mai raggiunto una cura vera e propria, l’intervento dopo circa 3/4 anni sarà l’unica scelta più sensata per farlo ritornare alla normalità anche se avrà conseguenze, dismetria dell’arto colpito, e un numero di piede in meno è possibile, artrosi giovanile ecc….

Insomma ad oggi quando Andrea ha il dolore, versamento e infiammazione cronici in questa malattia, possiamo dargli solo un ibuprofene e farlo stare a riposo, le fisioterapie sono necessarie per evitare l’atrofizzarsi dei muscoli dell’arto colpito soprattutto la fisiokinesiterapia ad oggi a pagamento perché non rientrante nel SSN.

Abbiamo anche scoperto con una RM che Andrea ha una cisti ossea subepifisiaria causata dal liquido sinovale che si è infiltrato per l’azione meccanica della malattia e non sappiamo ancora se questo inciderà sul suo percorso lento e doloroso…. e la cosa più assurda è non aver ricevuto nemmeno la legge 104/98 nonostante Andrea non può più fare nulla da solo, ha serie difficoltà di autonomia sia a casa che all’asilo dove viene aiutato da una collaboratrice scolastica per i suoi bisogni fisiologici, quindi dobbiamo anche combattere con la burocrazia inaudita delle istituzioni che invece dovrebbero tutelare un minore fragile con difficoltà serie.

Non esiste un codice di esenzione per questa malattia, nonostante esista sul portale di ORPHANET, una malattia scoperta nel 1912 eppure nessuno studio scientifico è mai andato avanti con risultati soddisfacenti di permettere di creare un farmaco che potesse bloccare la prima fase della malattia, dove si innesca un meccanismo di piccoli trombi che chiudono le arterie principali responsabili della apporto sanguigno che irradia la testa femorale, e questa purtroppo muore lentamente fino a frammentarsi., non esiste un centro di riferimento specifico, un percorso specializzato e soprattutto linee guida uguali per tutti gli ortopedici pediatrici questo perché le scuole di pensiero sul Perthes tra medici sono molto confusi e discordanti da mandare in tilt noi genitori sulla scelta migliore per una guarigione completa ma senza certezza alcuna.

Abbiamo iniziato la nostra battaglia personale verso le istituzioni, perché ci diano un codice di esenzione e facciano rientrare le cure fisiatriche nel SSN e che Andrea non rimanga un fantasma raro.

I primi passi sono stati fatti da me in Puglia con l’aiuto dell’Associazione Amaram RM dell’Alta murgia che ci hanno supportato sin dall’inizio, stiamo cercando di farci sentire, il nostro grido di dolore dalla Puglia si sta espandendo piano piano nonostante ad oggi solo Andrea sembra essere affetto da questa patologia nella nostra città!!

La mia pagina/blog Facebook Perthes è stata aperta per raccontare il percorso di mio figlio Andrea giorno dopo giorno, le cure, le battaglie burocratiche per le fisioterapie e soprattutto le testimonianze di tanti genitori come noi che si chiudono nel loro dolore e non riescono a parlarne.

Invece bisogna parlare, la parola divide i ponti e abbatte i muri!

Questa pagina nasce dal mio bisogno di non sentirmi sola, di esprimere ciò che sento e come me tanti genitori nel mondo ignari di cosa questa malattia comporti.

Questo viaggio lo faremo insieme e quando ne usciremo vittoriosi un giorno e spero presto, mi auguro che mio figlio ANDREA possa essere d’esempio a tanti bambini e ai loro genitori.

Il 29 giugno ci siamo recati al regina Margherita di Torino dove abbiamo trovato un medico molto competente nel morbo di Perthes che si è subito messo a disposizione per visitare mio figlio: ci ha detto molto apertamente che Andrea necessita di un intervento futuro appena sarà finita la fase di frammentazione ossea in quanto ha una cisti ossea che compromette la buona riuscita di una guarigione spontanea se mai avremmo voluto anche aspettare e tentare solo con questo tutore senza un intervento.

Anche lui ci ha ribadito che il tutore non serve a niente e che ad oggi solo sedia a rotelle o stampelle associate al riposo è l’unica terapia disponibile prima di ricorrere ad un intervento delicato e dai tempi lunghi di recupero.

Ovviamente la fisiokinesiterapia ad oggi ancora a pagamento lo aiuterà nella ripresa dall’intervento per ritornare a camminare.”

Con affetto mamma SIMONA️ e il piccolo guerriero ANDREA da BARI

Sarah
Vite Rare

Sarah nasce il 30 settembre 2016 a Mantova alle 14.30.

Tutto sembrava andare per il meglio, è stato un parto stupendo, bellissimo.

Un paio d’ore dopo la nascita di Sarah sentiamo un odore un po’ strano ma in quel momento abbiamo pensato potessero essere le lenzuola o il detersivo utilizzato e non abbiamo dato peso alla cosa.

A distanza di 4 giorni dalla nascita della bimba ci hanno chiamato dall’ospedale di Mantova: “Dovete venire qui subito, Sarah è risultata positiva allo Screening Neonatale”.

Siamo arrivati di corsa in ospedale a Mantova.

Sarah in incubatrice, mia moglie con il tiralatte.

Sarah poi da Mantova è stata trasferita immediatamente a Monza per ulteriori accertamenti.

Non appena arrivati a Monza, mia moglie ed io siamo stati accolti da una dottoressa che ci ha abbracciato e ci ha detto: “Le abbiamo salvato la vita”.

Poi ci ha spiegato che Sarah aveva la isovalerica aciduria e che sarebbe stato un percorso molto lungo.

Sarah oggi è stupenda e sta benissimo ma poteva andare diversamente.
Grazie a chi lavora ogni giorno per la tutela delle persone con malattia rara.

Simone
Vite Rare

Mi chiamo Simone Desiato e sono nato il 22 febbraio 2014 a Torino. La mia nascita è stata una grande gioia per mamma e papà, il loro sogno di diventare genitori si era finalmente avverato. A qualche mese dalla mia nascita però sono cominciate le preoccupazioni perché si sono accorti che qualcosa in me non andava. Hanno notato sintomi particolari e irriconoscibili ed è cominciato il calvario di visite e accertamenti che dopo un lungo periodo hanno rivelato una diagnosi: io sono affetto da PMLD (pelizaeus-merzbacher like) correlato al gene GJC2, una rarissima leucodistrofia degenerativa, senza cura, che conta circa 20 casi in tutto il mondo. Dopo anni di indagini mamma e papà sono riusciti a trovare un unico progetto al mondo di ricerca ed hanno voluto con tutte le loro forze dare vita all’associazione Piccolo Grande Guerriero onlus, nata nel 2019, per poter fare ripartire il progetto interrotto per mancanza di fondi. Grazie alle donazioni di tante persone che hanno creduto in noi, siamo già riusciti a finanziare due anni di ricerca, ma la strada è ancora lunga e occorre fare in fretta, perché io sto crescendo e con me la malattia che mi tiene prigioniero dentro ad un corpo che non riesco a comandare. I sintomi aumentano: nistagmo, ipovisione, ipotono , difficoltà ad esprimermi verbalmente, mi impediscono di fare quello che ogni bambino della mia età sogna di fare: giocare con i compagni, correre libero. 

Sono costretto ad allontanarmi spesso da casa per le sedute di fisioterapia effettuate tramite un metodo particolare che mi vengono praticate in Veneto per una settimana al mese. Lo scorso anno sono stato sottoposto ad un intervento chirurgico in Germania che avrebbe dovuto regalarmi un po’ più di autonomia nei movimenti, ma purtroppo non ha dato i risultati aspettati e quindi solo qualche giorno fa, mamma e papà mi hanno accompagnato a Lecco per un trattamento di tossine botuliniche che sono state iniettate nelle mie gambine tramite delle iniezioni.
Per potermi dare una speranza di cura è necessario continuare a finanziare la ricerca e trovare gli altri pazienti nel mondo affetti dalla stessa mia patologia. 

Dylan
Vite Rare

Sono Mario, il papà di Dylan, 2 anni, affetto da nevo melanocitico congenito gigante.
Il nevo si presenta come un enorme macchia di colore nero che ricopre parte della schiena, della pancia, la radice della gamba destra e i glutei provocandogli prurito e formazioni sottocutanee.
 Il piccolo nei suoi primi 2 anni di vita ha già subito circa 4 interventi chirurgici per cercare di rimuovere la maggior parte del nevo. Sono state utilizzate sia tecniche di skin expander (espansori cutaneei, ovvero palloncini, posti sotto la cute bianca e riempiti con soluzione fisiologica, ed una volta raggiunta la massima espansione vengono rimossi e la pelle nera sostituita con quella bianca) sia tecniche di escissione cutanea sia di innesto cutaneo.
E’ stata una scelta difficile da prendere in quanto sapere che tuo figlio soffre per delle operazioni chirurgiche ti fa sempre male al cuore, ma la scelta è stata fatta perché siamo sicuri che sia la cosa migliore per lui dato che, come ci hanno spiegato i medici, più piccola è la zona “nera” da tenere sotto controllo e più facile è controllare un’eventuale trasformazione in melanoma.
 
 
Faccio parte, in qualità di genitore, dell’ Associazione Naevus Italia Odv; una grande famiglia per tutte quelle persone che vivono la nostra stessa condizione. L’Associazione rappresenta un aiuto concreto, anche sotto il profilo del supporto psicologico, nell’affrontare quotidianamente questa enorme sfida. Le difficoltà sono tante, la paura altrettanto grande, ma si deve essere forti soprattutto per i nostri figli. E come si dice: “Never give up”.