GIORNATA DELLE MALATTIE RARE 2025

Accendiamo i riflettori sulle malattie rare e sulla RICERCA, la SPERANZA per tutte le persone con malattia rara di tornare a costruire il proprio percorso di vita con lo sguardo rivolto al FUTURO. Perché dietro la malattia rara c'è una persona che ha una vita da vivere.

marzo 2025

Donne, Salute e Rarità: focus sulle malattie mitocondriali

𝐃𝐨𝐧𝐧𝐞, 𝐒𝐚𝐥𝐮𝐭𝐞 𝐞 𝐑𝐚𝐫𝐢𝐭𝐚̀: 𝐟𝐨𝐜𝐮𝐬 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐞 𝐦𝐚𝐥𝐚𝐭𝐭𝐢𝐞 𝐦𝐢𝐭𝐨𝐜𝐨𝐧𝐝𝐫𝐢𝐚𝐥𝐢 31 marzo, ore 18.00 Iscriviti al webinar per interagire con le relatrici: https://bit.ly/4bItyM7 Nuovo appuntamento del nostro progetto dedicato alla medicina di […]

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Malattie rare: il punto sullo screening neonatale

8 aprile, ore 10.30 Hotel Nazionale, Piazza di Monte Citorio 131, Roma Clicca qui per iscriverti L’Italia, anche grazie alla fondamentale spinta delle Associazioni, è il paese in Europa con […]

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#UNIAMOLEFORZE PERCHÉ NESSUNO SI SENTA SOLO

LINEE GUIDA PER L'ORGANIZZAZIONE DI EVENTI

Per Giornata delle Malattie Rare 2025 UNIAMO fa una chiamata alla partecipazione con l’obiettivo di coordinare lungo tutto il mese di febbraio eventi a tema “Persone con malattia rara e Ricerca”.

SEGNALA IL TUO EVENTO

Per partecipare al mese delle malattie rare con il proprio evento è necessario compilare l’apposito form. UNIAMO, se richiesto entro il 15 dicembre (proroga al 18 dicembre), si occuperà di inviare a proprie spese il materiale promozionale di informazione e sensibilizzazione.

CAMPAGNA SOCIAL

Scarica il materiale grafico e condividilo sui social, illumina la tua casa e dipingiti la faccia e le mani con i colori della Giornata della Malattie Rare... #UNIAMOleforze e facciamo tantissimo rumore intorno alle malattie rare!

KIT PER LA SCUOLA

Sei un insegnante o un genitore di un bambino con malattia rara? Conosci una famiglia che ha problemi di inclusività scolastica? Scarica il materiale e aiutaci a sensibilizzare, perché la piena inclusione comincia dai banchi di scuola.

Vite Rare 

Marina
Vite Rare

Sono Marina, ho 26 anni e la mia storia si chiama Sindrome di Minor, o anche Deiscenza del canale semicircolare superiore all’orecchio sinistro, o forse, probabilmente, ha un altro nome.
5 anni fa ero all’ultimo anno dell’università triennale e parlando con un’amica, all’improvviso iniziai a sentire un forte fastidio all’orecchio, una pressione forte, come se tutto ad un tratto non riuscissi più a sopportare nient’altro se non il silenzio.
Da lì in poi, i suoni stridenti, alcune frequenze sonore, le voci delle persone e la mia stessa voce diventano il mio peggior incubo.
Ho fatto mille visite, otorini, neurologi, specializzati in osteopatia, e per 3 anni la mia vita si è rimpicciolita fino a chiudermi nella mia stanza, al silenzio, con i miei pensieri.
Nel 2022 si accende la speranza, un otorino chirurgo di Roma potrebbe avere la soluzione e mi opera.
L’intervento prevedeva la “ricostruzione della parete deiscente […] con un’esposizione della meninge della fossa media […] e una ricostruzione con la stessa polvere d’osso della persona, unita a colla biologica“.
Purtroppo nulla è cambiato, se non aggiungersi, ai miei attuali sintomi, le conseguenze post-intervento. Tutto è rimasto invariato: iperacusia dolorante, pressione all’orecchio, pressione alla testa, emicrania, poco equilibrio, confusione mentale.
Questa sindrome mi ha tolto molto e stravolto la mia vita e la mia socialità. Ho smesso di fare sport perché anche uno sforzo fisico mi creava disagio all’orecchio. Ho dovuto reinventarmi un altro metodo di studio perché non riuscendo a parlare, ripetevo gli argomenti d’esame nella testa e mi era difficile memorizzare. Ho notato anche un calo della memoria e difficoltà a mettere insieme un discorso. Ho smesso di piangere perché lo sforzo fisico comportava un forte dolore e pressione all’orecchio. 
Ho smesso di ridere per lo stesso motivo.
Nessun medico ha mai compreso le conseguenze di questa sindrome e di come facilmente può portare alla depressione. Qualcuno, purtroppo, si è tolto anche la vita.
Ho dovuto imparare di nuovo a parlare per la confusione mentale che avevo, ancora oggi faccio fatica ad approcciarmi agli altri perché mentre parlo sento dolore.
Ci si sente incompresi e soli.
L’unica fortuna è stata avere una famiglia al mio fianco, senza di loro sarebbe stato molto più difficile affrontare tutto.
Sono riuscita a prendere 2 lauree e trovare un lavoro stabile. Mi ritengo fortunata, anche se non è per niente facile convivere con tutto questo. Sono tornata a sorridere, e con un po’ di dolore anche a ridere, ho ripreso sport e cerco di trovare ogni giorno, in ogni cosa, la bellezza di poter vivere una vita, nonostante tutto, meravigliosa.
I sintomi sono molto particolari e difficili da riconoscere e inquadrare tutto in una malattia. Spero quindi che questa storia possa essere d’aiuto a qualcuno e forse, un giorno, potrà essere d’aiuto anche a me stessa.
Un abbraccio,
Marina

Elena
Vite Rare

Mi chiamo Elena, ho 27 anni (28, in agosto) e sono una giornalista trentina. L’idromielia ha oltrepassato l’uscio della mia quotidianità all’età di 14 anni. Prima confondendosi con la siringomielia (patologia da cui si ramifica), poi rendendosi piuttosto narcisista. Rientrante tra le malattie croniche di origine neuro-genetica comporta ogni sera convulsioni coscienti da sovra-stimolazione del sistema nervoso (essendo al ribasso durante il giorno); continui cedimenti delle gambe, mancanza di sensibilità agli arti, problemi di microcircolazione. L’idromielia, che ha innescato altre due problematiche cugine, nasce quale dilatazione interna al midollo in seguito all’aumento della sua pressione: gli impulsi neurologici generati dal cervello faticano così a raggiungere in maniera lineare e completa le vie centrali e periferiche, accrescendo le complicazioni motorie. Un’isola al centro di un canale che si tramuta per alcune barche in scoglio invalicabile. Pur deambulando spesso con l’aiuto di un bastone alla dott. House, di recente si è reso necessario un neurostimolatore midollare interno, regolabile e gestibile – certo, h24 – mediante un telecomando. Insomma, posso dirmi bionica! Non è facile, lo sappiamo: il vivere costa fatica quando si desidera assaporare in tutto la bellezza della vita. Eppure, l’affetto e la premura di chi si ha accanto sono essenza e senso della nostra realtà, oltre che il più puro incanto. Continuo a raccontare il mondo e l’umanità attraverso le parole, cercando di attraversare il dolore senza consentirgli di fagocitare il bisogno di accogliere una vita divorante – e, possibilmente, da poter divorare.

Luca
Vite Rare

La nostra storia inizia in una giorno qualunque di novembre quando il sorriso di Luca illuminava ogni angolo della nostra casa. Luca, il nostro bimbo di un anno e mezzo, era un concentrato di energia e curiosità, sempre pronto a correre e scoprire il mondo con quegli occhioni vispi. Ogni genitore sa quanto sia travolgente l’amore per un figlio, e noi non facevamo eccezione. Lui era il nostro sole, la nostra forza, sempre con quella risata contagiosa che ci faceva dimenticare ogni preoccupazione.
Poi, all’improvviso, tutto è cambiato. Una sera, Luca si è fermato. Prima una zoppia improvvisa, poi la febbre, altissima e resistente a qualsiasi terapia. Sembrava quasi bloccato, non riusciva più a camminare. Il panico ci ha colpiti subito. Il pediatra di famiglia ci ha guardato con preoccupazione e ci ha consigliato quello che nessun genitore vorrebbe mai sentire: “Portatelo subito in ospedale.”
Da quel momento, è iniziato il nostro viaggio nell’incertezza e nella paura. Luca è stato ricoverato, e da lì è cominciato il lungo percorso di esami, uno dopo l’altro, senza che nessuno riuscisse a capire cosa stesse accadendo. Le notti in ospedale erano interminabili, con mia moglie sempre accanto a lui, mentre io correvo su e giù tra casa e l’ospedale, cercando di sostenere entrambi. Il nostro piccolo Luca, nonostante la sofferenza visibile sul suo volto, non ha mai perso quel sorriso, il suo segno distintivo, come un faro di speranza in mezzo a una tempesta.
I giorni passavano lenti, senza risposte. I medici avanzavano ipotesi, ma nessuna spiegazione era certa. Ogni nuovo esame sembrava più invasivo del precedente, e ogni giorno la nostra ansia cresceva. Luca stava soffrendo: i suoi movimenti erano limitati, ogni articolazione sembrava bloccata, e le sue piccole gambe non lo sostenevano più. Guardare mio figlio immobile, con la flebo attaccata al braccio, era straziante.
Mia moglie cercava di mantenere la forza, ma spesso la trovavo in lacrime, affranta dall’impotenza di non poter alleviare il dolore di Luca. Io mi aggrappavo al suo sorriso, cercando di farmi coraggio, ma ogni giorno che passava sentivo il peso della paura crescere sempre di più.
Poi, dopo un mese di angoscia, è arrivata la risposta che aspettavamo, anche se nessuno di noi era pronto a sentirla. La diagnosi è stata devastante: artrite idiopatica giovanile a forma sistemica, una malattia rara che colpisce solo un bambino su 100.000. Non esiste una cura definitiva, non esiste una causa certa. Per noi, è stato come cadere in un baratro.
Ma proprio quando sembrava che tutto stesse crollando, è arrivata una piccola luce. La dottoressa di Luca, con dolcezza e fermezza, ci ha parlato di una nuova terapia sperimentale. Non prometteva miracoli, ma offriva speranza, una possibilità di miglioramento. Abbiamo deciso di affidarci a questa nuova cura, anche se le incertezze erano tante. La fiducia in quel momento era l’unica ancora a cui potevamo aggrapparci.
Dopo appena tre giorni dall’inizio della nuova terapia, abbiamo iniziato a vedere i primi segni di miglioramento. Luca sorrideva di più, riusciva a muoversi un po’ meglio, e finalmente, dopo settimane di immobilità, ha provato ad alzarsi. È stato un piccolo passo, ma per noi è stato gigantesco. Era dicembre, il Natale si avvicinava, e l’unico regalo che desideravamo era riaverlo a casa, sano e felice.
Ogni giorno che passava, Luca recuperava un po’ di più. Gli esami iniziavano a dare risultati positivi, e i medici, con cautela, ci hanno detto che potevamo sperare. Pochi giorni prima di Natale, Luca è stato dimesso dall’ospedale. Portarlo a casa, vedere il suo viso illuminarsi alla vista dell’albero di Natale che avevo preparato per lui e mia moglie, è stato il momento più felice della nostra vita. Dopo settimane di paura e sofferenza, eravamo di nuovo insieme, pronti a ricominciare.
Ma il nostro viaggio non era finito. Anche se Luca era tornato a casa, la sua battaglia con l’artrite era solo all’inizio. La terapia doveva continuare ogni giorno, con controlli costanti per monitorare la malattia. Ci sono stati momenti difficili, alcune ricadute che ci hanno fatto temere il peggio, ma abbiamo imparato a convivere con questa realtà. Ogni passo avanti era una vittoria, ogni giorno senza dolore era un dono.
Oggi Luca ha quattro anni. Continua la sua terapia quotidiana, e anche se la sua malattia non è scomparsa, è sotto controllo. Abbiamo imparato ad affrontare ogni sfida con la forza che Luca ci ha insegnato. Il suo sorriso, quel sorriso che non lo ha mai abbandonato, è diventato il nostro simbolo di speranza.
Questa storia non è solo la nostra. È la storia di tutte le famiglie che vivono con una malattia rara, che combattono ogni giorno contro qualcosa di sconosciuto. È una storia che parla di coraggio, di forza, e di speranza. La scienza ci ha dato una possibilità, e noi abbiamo imparato che condividere queste esperienze ci rende meno soli. Raccontare la storia di Luca significa dare voce a chi vive nell’incertezza, ma che trova la forza di andare avanti, giorno dopo giorno.
Questa è la nostra storia, una storia rara, come Luca. Ma una storia che, grazie alla scienza e all’amore, ha trovato una via verso la speranza.

Alberto
Vite Rare

La mia esperienza con la Malattia di Fabry. Mi chiamo Alberto Franchin ho 19 anni e lavoro nel settore alberghiero. Fin da piccolo ho imparato a convivere con una malattia genetica rara, la Malattia di Fabry, che mi è stata diagnosticata quando avevo 4 anni. Nel corso del tempo ho affrontato diverse sfide, ma ho sempre cercato di non lasciare che questa condizione definisse chi sono o ciò che posso fare. La Malattia di Fabry è una patologia genetica rara causata da un’anomalia nel metabolismo di alcuni lipidi, che si accumulano progressivamente in vari organi, come il cuore, i reni e il sistema nervoso. Ogni persona colpita può manifestare la malattia in modo diverso, e nel mio caso, la sfida più grande è stata durante l’adolescenza, quando mi rendevo conto che non riuscivo a sostenere lo stesso sforzo fisico dei miei coetanei. Oggi, grazie a una terapia più adatta a me, la mia qualità di vita è migliorata. Devo sottopormi a un trattamento ogni 15 giorni, ma è ormai parte della mia routine e non mi impedisce di vivere la mia quotidianità. Se c’è un messaggio che voglio condividere, è che una malattia genetica non deve essere vista come un limite assoluto. Ci saranno momenti difficili, ma con il giusto atteggiamento si può affrontare qualsiasi ostacolo. Non bisogna farsi abbattere, perché la vita ha molto da offrire, e guardare avanti con positività fa davvero la differenza.

UNIAMO LE FORZE

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