“Il 48,61% delle donne caregiver non riesce ad organizzare visite e controlli preventivi”. Questo era uno dei dati emersi nella survey “Donne caregiver nelle Malattie Rare” che abbiamo presentato lo scorso giugno e che abbiamo rilanciato stamane a Roma, presso la Sala Capranichetta dell’Hotel Nazionale, nell’evento di lancio del progetto “Donne, salute e rarità”. Sempre secondo la nostra ricerca il 17,36% non riesce ad organizzare un controllo per se stessa da oltre 3 anni e il 20,14% da più di un anno. “Sulla base di questi numeri – ha spiegato Annalisa Scopinaro Presidente UNIAMO – e della Risoluzione ONU sui diritti delle persone con malattia rara avevamo tutti gli elementi per sviluppare il nostro lavoro”. La Risoluzione adottata nel 2021, infatti, dopo aver espresso la “necessità di ridurre le disuguaglianze di genere” sottolinea che “le donne e le ragazze con una malattia rara devono affrontare maggiori discriminazioni e barriere nell’accesso ai servizi sanitari” e che le donne caregiver “si assumono una quota sproporzionata di cure e lavoro domestico non retribuiti”. È quindi da questi numeri impressionanti e dai principi espressi nella Risoluzione – una pietra miliare non solo per i diritti della comunità delle persone con malattia rara ma anche per l’inclusività delle donne – che muove il nuovo progetto di UNIAMO.
“Donne, madri, medico: sono capaci di trasformare la straordinaria capacità femminile di concentrare su di se la cura di tutti i componenti della famiglia in capacità di innovazione per la governance nella gestione della complessità di cura per i bambini e le persone con malattie rare nel Sistema Socio Sanitario italiano” ha sottolineato Giuseppina Annicchiarico, coordinatrice regionale in Puglia per le malattie rare. Il rapporto però fra donne e malattie rare va oltre però alla medicina di genere. “Non solo le donne possono essere colpite dalle malattie rare ma spesso si trovano anche a sostenere il carico psicologico e assistenziale per curare i figli con una malattia rara” ha affermato Simone Baldovino coordinatore in Piemonte. In una situazione in cui, come emerge sempre dalla ricerca presentata stamane, non hanno nemmeno più tempo per se stesse: il 48,61 dichiara di avere anche meno di un’ora al giorno ma il 34,03% per cento dichiara di non avere affatto tempo per se stessa, oltre la cura alla persona con malattia rara. “Ma perché il ritardo diagnostico è maggiore nella donna rispetto all’uomo? I percorsi che costruiamo e le terapie che utilizziamo sono ugualmente efficaci negli uomini e nelle donne? Sono solo alcune delle domande a cui tutti dobbiamo collaborare per rispondere” secondo Giuseppe Limongelli coordinatore sulle malattie rare in Campania. “Le donne – ha ricordato Cristina Scaletti coordinatrice in Toscana per le malattie rare – non vogliono essere uguali agli uomini, vogliono avere gli stessi diritti e le stesse opportunità ma nel rispetto della loro diversità. Non solo alcune malattie rare sono più frequenti nelle donne che meglio uomini, ma la stessa malattie é diversa se colpisce una donna o un uomo. E siccome lo studio, la ricerca e le terapie sulle malattie rare hanno contribuito a cambiare la storia naturale di malattie più frequenti sarebbe bellissimo che attraverso questo progetto si potesse dare una “cura” alla nostra società ancora troppo influenzata da stereotipi di genere”.
In questo periodo stiamo assistendo ad una sempre maggior specificità delle terapie, ma è necessario che a questa specificità si accompagni una diagnosi puntuale, in tempi ragionevoli. “Nel foresigh studio Rare 2030 si auspica che il tempo di diagnosi scenda ad un anno dalla comparsa dei primi sintomi, dai 4,1 al momento rilevati dagli studi di Eurordis” ha concluso Annalisa Scopinaro. Tra le storie raccontate nel corso della giornata quella di Rita Treglia, consigliera di UNIAMO e Presidente ANACC che ha sottolineato “la necessità che si faccia anche prevenzione sulla salute mentale della donna caregiver che spesso è madre, moglie, compagna, figlia e che rischia di subire un isolamento involontario. Una maggior tutela nel mondo del lavoro e soprattutto la necessità di insegnare alle donne ad ascoltare il proprio corpo e renderle consapevoli che hanno il diritto ad essere ascoltate e alla seconda opinione” e la storia di Stella raccontata da Stefania Polvani, Presidente Società Italiana di Medicina Narrativa (SIMeN): “Stella è una donna con malattia rara. La mammografia per lei, e nondimeno per la madre che si prende cura di lei e per i servizi, sembrano un’impresa impossibile. Non lo è, arriva la diagnosi e inizia il percorso di cura. Ricordo la gioia della madre. Ecco come una storia di malattia e di cura possono indicare come il tempo l’ascolto possono essere indispensabili per le persone i professionisti le organizzazioni. Come la medicina narrativa può essere strumento necessario per promuovere la salute delle donne e delle persone con malattia rara”.
Quella di oggi era solo la prima tappa di un percorso che andrà avanti fino ad aprile e che, anche grazie al contributo incondizionato di Chiesi Global Rare Diseases, proverà ad indagare a 360° il diritto alla salute delle donne con malattia rara e caregiver e a far luce sulla medicina di genere, sulla medicina narrativa e sulla mancata prevenzione.